Il ciclone Vittorio, parte terza


La Saga di Vittorio Cecchi Gori
Parte terza e ultima
 

Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza

Maledetto il giorno che t’ho incontrato

«Sa chi è davvero Berlusconi? Il giorno del funerale di mio padre Mario, Silvio scrisse una bella lettera, venne al funerale e sostenne persino la bara. La mattina dopo, chiuse d’imperio le società Penta che avevamo costruito insieme». Ognuno ha una sua nemesi. Ognuno ha la propria ossessione. Quella di VCG, nello specifico, ha l’accento milanese e la battuta pronta. Il Cavaliere mascarato: il limite con cui Vittorio si confronterà tutta la vita. Uscendone chiaramente con le ossa rotte. Politica, televisioni, cinema, calcio: lo scontro fra i due sarà esteso per un fronte più sterminato di quello russo durante Operazione Barbarossa.
 


Cecchi Gori con Berlusconi

I risultati per Vittorio? Sconfitto nel collegio di Acireale da un perfetto sconosciuto del Polo. Rovinato sul piccolo schermo, con Tmc e Tmc2 svendute forzatamente per una manciata di azioni Seat. Privato di più di cinquecento film e messo sul lastrico da produttore. Infine disintegrato, a livello calcistico, da un Milan irraggiungibile. Una débâcle totale, senza appello. «Ero alto 1,72. Da quando sono diventato l’anti-Cavaliere sono sceso di colpo a 1,65. Mi hanno tolto sette centimetri d’altezza, ’sti bischeri!», dichiarerà VCG, ormai al crepuscolo della sua personale battaglia contro i mulini a vento di Cologno Monzese, non sapendo che quei sette centimetri saranno la cosa che rimpiangerà di meno.

Fuochi d’artificio

Il suo legame con la Fiorentina è stato viscerale, sanguigno, irrazionale, scostante. Come Napoleone nel Cinque Maggio di Manzoni si passerà dall’altare dei trofei e dei cori ultras, alla polvere degli striscioni più biechi: «Mario, quella volta ‘un ti potevi fa’ ‘na sega?». In mezzo tanto, troppo di tutto. Coppe, scudetti sfiorati, bidoni, qualificazioni Champions, modelle internazionali in tribuna, semifinali al Camp Nou, vittorie a Wembley, retrocessioni esiziali quanto inspiegabili e fenomeni mai visti a Firenze: Effenberg, Batistuta, Baiano, Toldo, Laudrup, Rui Costa, Heinrich, Edmundo, Schwarz, Repka, Oliveira, Torricelli, Di Livio, Mijatovic, Chiesa. Decine di miliardi per vincere, per salire in balaustra agitando al cielo la giacca come fosse una sciarpa esibita in Curva Fiesole. Impossibile fare una sintesi accurata di tutte le sue prodezze.

Nella stagione 1992/1993 caccia Radice da secondo in classifica per una difesa a zona maldigerita. Indimenticabile, in questa occasione, il suo volto paonazzo ed il kalashnikov di polemiche nel tempio della tv pallonara: Il processo di Biscardi. La squadra però, affidata ad Agroppi, finisce mestamente in B. Ma che importa? Altro giro, altra corsa. Arriva Ranieri ed è subito promozione. Cecchi Gori acquista l’asso brasiliano Marcio Santos, promettendogli una cena con Sharon Stone in caso il difensore segni almeno sette gol. Il carioca ne segnerà solo quattro, di cui un paio a Toldo, vanificando qualsiasi possibile remake di Basic Instinct e dovendosi accontentare, con ogni probabilità, di un triste panino dalla Piera, prima dell’addio. La squadra però gira a meraviglia. Arriva la Coppa Italia, poi la Supercoppa, poi la ciliegina Kanchelskis, ricordato soprattutto per aver ispirato il coro di pochi anni dopo: «La ciliegina è la Marini a…». Vabbè, diciamo a pi greco mezzi.
Il leitmotiv dei viola, comunque, è il calcio spettacolo. Con Malesani, qualche anno dopo, giunge un’insperata qualificazione Uefa. Cecchi Gori espone uno striscione in tribuna d’onore per mettere a tacere le solite voci di mercato: «Batistuta è incedibile. Firmato, il Presidente». Incedibile? Sì, almeno per un paio d’anni. Sulla panchina gigliata si siede il Trap. Edmundo parte per il Carnevale. Bati si infortuna contro il Milan. Ficini è il colpo da novanta – gradi – del mercato invernale. Niente terzo scudetto. Poi cominciano i guai. Il litigio con Terim. L’addio ad Antognoni. Le casse societarie sempre più vuote. Arriva un’altra Coppa Italia, ma è la quiete prima della tempesta. Il Direttore Sconcerti va a Barcellona per vendere Toldo e salvare la società dalla bancarotta. Cecchi Gori gli chiede di trattare Rivaldo e Sconcerti, se possibile,sbianca ancora più del solito.
 


Foto da Antonioni.com

Se ne va, dopo Bati, pure Rui Costa, la Fiorentina prima di Mancini e poi di Ottavio Bianchi arriva ultima. È di nuovo cadetteria. Magari. Perché il fallimento si avvicina. VCG, fra fiaccolate di protesta e preghiere, millanta un bonifico in arrivo dalla Colombia. È l’ultima sua boutade. Da Bogotá non arriva manco un po’ di zafferano. La Fiorentina sparisce. Va tutto all’asta: cimeli, gagliardetti, sede societaria e pure cinquecento videocassette porno trovate nella palazzina di Piazza Savonarola.
«La Fiorentina? Dico subito che non la vendo, piuttosto la disintegro con le mie mani. La comprò i’ mi’ babbo, è un fatto affettivo e, adesso, anche economico». Le ultime parole famose di un personaggio cult, un personaggio da odiare o da amare, senza mezze misure. Per alcuni Cecchi Grullo, per altri semplicemente il Presidente.

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«Il mio unico cruccio quello di avere un figliolo bischero» ripeteva il saggio e risoluto Cecchi Gori senior.