Statua dell'Appennino
Gigante dell'Appennino
Cenni storici
Gigante dell'Appennino
Grotta di Cupido
Ai piedi del prato, c’è una statua gigantesca che rappresenta l’Appennino (1). Seduto e con la mano destra che preme sulla testa di un grande mostro, se fosse in piedi, raggiungerebbe un’altezza di circa quaranta braccia (2). Quest’opera d’arte, sia per quanto riguarda la scultura che l’architettura, è attribuita a Giambologna (3).
L’imponente base della statua presenta una vasca del diametro di cento braccia, circondata lateralmente da un parapetto a balaustri di marmo. La parte anteriore della vasca è libera e al centro c’è un terrazzino. La figura gigantesca è composta da pietra serena e spugne, che sembrano essere state gettate a caso. Tuttavia, osservando attentamente, si possono facilmente riconoscere le membra e i muscoli, rappresentati con una verità prodigiosa (4).
L’acqua che sgorga dal monte e quella che zampilla dalla testa del colosso creano effetti meravigliosi. Quando il sole sorge dai colli di Firenze e illumina il volto della statua, sembra che sia incoronata da preziose gemme d’Oriente: smeraldi, zaffiri, rubini e topazi sembrano mescolarsi insieme.
La statua è vuota all’interno e si può accedere da un ingresso situato nella parte posteriore. All’interno della testa c’è una piccola stanza con finestre negli occhi. Da qui, Francesco I amava pescare nella vasca sottostante (5). Il corpo del gigante forma una grotta esagonale con una magnifica fontana al suo interno.
Anche il monte su cui si appoggia la statua è vuoto e al suo interno ci sono due stanze di dimensioni diverse. Nella stanza più piccola sono dipinte delle miniere e degli uomini che lavorano i metalli. Nella stanza più grande c’è una fontana di singolare bellezza, ricca di opere che imitano la natura.
Il pavimento è fatto di terra di Levante e presenta vari disegni di foglie tra i quali sgorga abbondante acqua (6).
Cenni storici
Gigante dell'Appennino
Grotta di Cupido
Tratto da Cesare Da Prato, Firenze ai Demidoff, Pratolino e S. Donato, relazione storica e descrittiva, Firenze, Pia Casa del patronato, 1886
(1) Consta al Baldinucci che questa statua era stata fatta per rappresentare Giove Pluvio, perchè la falsa religionedegli antichi a lui dava l'attribuzione di mandarele piogge; del qual Giove fa menzione Tibullo in quel verso : Et sitiens Pluvio supplicat herba Iovi.
(2) Il Verino e l'Anonimo lo dicono di 60 braccia: il Baldinucci (Vita di Giambologna) ed il Borghini (Riposo) lo dicono di 50; lo Sgrilli poi lo dice di 40, e dà lui più nel segno.
(3) Pietro Thouar (Notizie e guida di Firenze e de' suoi Contorni) dice che quest'opera di cosi straordinarie proporzioni è di Bartolommeo Ammannati. Lo sbaglio del prof. Thouar si spiega probabilmente in questo modo: leggendo egli nel Baldinucci (Vita dall'Ammannati), o in altri che ne scrissero, che questo artefice fu l'autore della fontana conosciuta nella R. Villa di Pratolino col nome di fontana dell'Ammannati, della quale noi diremo a suo tempo, dell'Anteo di bronzo e dell'Appennino quasi tremante dal freddo, che lo stesso esegui per la R. Villa di Castello, nota, di queste tre opere, l'ultima soltanto, e ce la fa trovare due volte a Pratolino, dove non c'indica una volta sola la fontana. (Vedi Thouar libro suddetto, pag. 411 delle opere d'arte, e pag. 564 della Guida). Se poi qualche merito ad altri si dovesse attribuire intorno al progetto di quest'opera immensa, bisognerebbe attribuirlo di buona ragione al Buontalenti, perchè nel catalogo a stampa della raccolta di disegni donata dallo scultore Santarelli alla R. Galleria di Firenze, troviamo a pagina 363 la seguente citazione, sotto il nome di Buontalenti Bernardo: «Progetto per il colosso della Villa di Pratolino, Matita nera acquarello e biacca; carta bianca.» Di più, nell'indice già rammentato del Signor Ferri, medesima pag. 74, si trovano i disegni 2323 e 2325 di Bernardo Buontalenti che rappresentano due studi per la stessa grotta, il primo dei quali ne è l'intero prospetto dove del colosso è lo schizzo in mossa poco dissimile a quello eseguito; il secondo è una delle parti laterali esterne. Chi poi visita il R. Museo Nazionale, vede nella sala delle terre invetriate il bozzetto del Colosso, che è indicato dalla Guida "per il Visitatore" compilata dal signor Arturo Campani con queste parole: «Attribuito a Gio. Bologna. Bozzetto in terra cotta senza invetriare, in piccole proporzioni, della figura colossale dell'Appennino, eseguito da Gio. Bologna nel parco della già villa Medici, ora Demidoff, a Pratolino. — Acquistato dal dott. Alessandro Foresi il 14 egosto 1866.» — L'incisione in rame del colosso appoggiato al monte, colla parte orientale del bosco, eseguita da Stefano della Bella, trovasi nella Descrizione Sgrilli e nel detto corridoio della R. Galleria.
(4) A proposito della, esecuzione di questa figura enorme, racconta il Baldinucci, 1. c, «che nocque ad alcuni discepoli del Giambologna, quali persero la mano a lavorare in opere d'ordinarie dimensioni. Il più danneggiato fra costoro a tale motivo, si fu certo Antonio Marchissi di Settignano, che tornato a lavorare nello studio del maestro dovè adattarsi ad una diminuzione del salario perchè il giudizio dell'occhio non gli faceva fare più nulla di buono.»
(5) Lettere pittoriche del Bottari.
(6) Di quanto abbiamo descritto, attualmente resta soltanto la massa del colosso è la grande vasca.
Si dice rappresenti il lavoro degli animali alla costruzione del Duomo, ma un racconto suggestivo suggerisce una vendetta amorosa.
Il Toscano è diventato un simbolo della Toscana e della sua cultura, oltre a essere amato da molti appassionati di sigari in tutto il mondo.
La Miniera era attiva dal XV al XVII secolo e vide l’interesse dei Medici. Nonostante tentativi di riavvio, i risultati furono scarsi.
A Firenze, si svolgeva una cerimonia in onore di San Giovanni, con l’offerta di ceri e la venerazione delle sue reliquie.