Anna Franchi e i Macchiaioli

I Macchiaioli
Al Caffè Michelangelo con Anna Franchi




Ritratto della scrittrice Anna Franchi nel 1895

"[...]non tutti i giovani macchiaioli seppero innalzare il loro nome fino alla luminosa notorietà, e tutti erano pittori; fra i frequentatori del Michelangiolo vi erano pittori e letterati, vi erano dei semplici copiatori di galleria, e degli artisti ai quali sorrideva all'immediato guadagno della gloria futura.
Vi erano gli amici degli artisti, quella categoria di uomini pei quali la vita passata in compagnia di esseri baciati dalla buona fata è grande godimento, creature alle quali è appena mancante quel tanto che basterebbe a far di loro stessi dei veri artisti. Se ne trovano sempre negli studi dei pittori. Per loro le burle, le sguaiataggini, sono delle cose sublimi, subiscono anche degli scherzi, qualche volta feroci, pur di poter essere accettati negli studi.
Pure sono quasi sempre degli uomini intelligenti.


Al Caffè Michelangiolo se ne contavano una grande quantità.
Fra i letterati frequentatori si ricordano Carlo Lorenzini (fig. 1), Cammillo Boito, Diego Martelli; questi fu il più sincero amico di tutti, colui al quale molti artisti debbono e fama ed aiuto. Per gli artisti, per l'artemorta se non povero, certo appena in tempo per non provare il morso della miseria. Un ricordo di affetto nutrono per lui anche i più grandi, e nessuno, nessuno fu ingrato, tanto la grande sua bontà  imponeva riconoscenza.
Degli artisti che frequentavano il ritrovo della ribellione, e che avevano una tendenza al rinnovamento si ricordano l'Ademollo, e l'Ussi, che era giovanissimo tra i vecchi, il quale ha pur lasciato delle opere pregevolissime, tra le quali la ormai celebre Cacciata del Duca di Atene.
Poi non mancavano i dilettanti, non mancavano dei giovani ai quali piaceva più la burla che il lavoro.
È rimasto celebre l'Arnaud, elegante giovanotto, simpaticissimo, con l'occhio sinistro che si presentava di faccia quando era visto di profilo e nello studio del quale si vedevano alle pareti, caricature, poesie amene, trofei amorosi, chitarre e tutto ciò che poteva destare il riso, fuorchè dei quadri. Come pittore, di lui nessuno sa nulla, come fannullone, tutti lo hanno in mente, come inventore di scherzi tutti lo ricordano ridendo.
E ridendo si ricorda il Tricca (fig 1). Questi, ritrattista fine, un poù ricercato ma accuratissimo, e più di tutto caricaturista sommo, era l'anima del Caffè. Inventava ogni giorno una burla, ogni ora un motto salace, ogni poco una nuova caricatura. Giunse a farla a se stesso e così bella che, fra tutte quelle fatte nell'epoca del Caffè, è conservata come una delle migliori.
La satira era parte della sua mente, del sangue suo, non parlava se non prendeva in giro qualcuno.
Le debolezze del prossimo non gli sfuggivano mai, ed era tanto il bisogno di canzonar la gente, che perfino al canuccio spelacchiato che sempre lo seguiva, faceva prendere il cappello come ricorda il Signorini.
 


Fig. 1

Carlo Lorenzini in una caricatura di Angiolo Tricca del 1875


Non uno sfuggiva alla sua satira; suo figlio, la sua domestica, suo fratello al quale fece una delle sue più belle caricature.
Organizzava le burle con la pazienza del ragno allorché adocchia la mosca, e non retrocedeva nemmeno se sapeva di crearsi un nemico.
Due Tricca in Firenze avrebbero dato il più gran contingente al Manicomio â dice ancora il Signorini; e prosegue: se fu spietato nel contraltare e caricaturare amici e nemici, meno di tutti però risparmià se stesso, tanto che nella nostra collezione lo vediamo giovane, adulto, vecchio, ammalato, farci sempre ridere alle sue spalle fors'anche più di quel che si possa ridere alle spalle dei suoi e nostri amici caricaturati da lui.

Tra i compianti, tra coloro che destano un sorriso amaro, per le facezie nate in anima travagliata, è il povero Cinci, come chiamavano Anatolio Gordigiani, fratello di Michele; il ritrattista noto, primo a creare una tecnica nuova, ed un nuovo modo di fare il ritratto che desta meraviglia fra i giovani del Caffè poco abituati a quella pittura solida ed a quelle espressioni sentite. Anatolio Gordigiani avventuroso quanto mai, pazzo e stravagante, morì poi per aver nelle avventure consumato la vita. Per lui nulla fu impossibile: dal trascinare un cavallo al terzo piano, fino a folleggiare in teatro, furiosamente, mentre appena mezz'ora avanti era stramazzato a terra per uno sbocco di sangue.
Se lo ricordo, non come artista, È perché, fu molto caro al Signorini; Egli ha sempre avuto per lui tenera memoria, e la sua voce tremava pronunziando quel povero Cinci, in cui tutti si racchiudevano i ricordi dolorosi di quella vita rovinata.
Un altro che aveva una calda anima di artista fu Vito d'Ancona (fig 2).
Quando il Signorini cominciava. Egli gli fu largo dall'incoraggiamenti. Ebbero lo studio insieme in Via della Pergola, nel tempo in cui più che al lavoro, passavano le giornate seduti in bilico su dei pioli che correvano lungo la via uniti da una spranga di pietra, dando la berta a chi passava, e guastando la pace agli abitanti di quella via. Era ricco, colto, appassionato per l'arte: fece una pittura sobria dall'intonazione, larga e grandiosa, fu premiato a Napoli nel 1877. Fu sempre giovane dell'edee, ma 15 anni di un male incurabile resero sterile la sua produzione.
Visse molto tempo a Parigi.
 


Fig. 2
Vito D'Ancona Nudo, 1873
Galleria d'Arte Moderna di Milano


Appassionato per la macchia, anche Luigi Bechi se ne fece un seguace convinto e fervente; faceva una pittura simpatica, che lo avrebbe portato in alto se fosse stato meno riflessivo. Certo a Lui sorrise un poco anche il guadagno, pur seppe adattare alla vendita la sua arte buona. Dipingeva la campagna romana, bozzetti e quadri indovinati, che sempre potè vendere, tanto che oggi è ricco ed ha cessato di lavorare.
Se non macchiaiolo, Lorenzo Gelati (fig. 3), ebbe pei macchiaioli molta simpatia, ed a lui pareva potersi seriamente pronosticare un avvenire di gloria; ma ad un tratto si fermò, perché il suo nome raggiunse grande notorietà. Le sue prime cose sono bellissime.
Al Caffé convenivano i soli Toscani, molti venuti da fuori vi si erano acclimatati, molti vennero espressamente per frequentarlo.
 


Fig. 3
Lorenzo Gelati - Fra Angelico nel refettorio di San Domenico


Non potendo per il limite propostomi molto parlare di questi artisti, ricorderà Giovanni Boldini (fig. 4) di Ferrara, ingegno vivace, forte ritrattista, oggi celebre a Parigi.
Le sue figure risentono talvolta come di uno spirito comico, quasi avessero una leggera tendenza alla caricatura, e forse perché sempre sono evidentissimi i segni caratteristici del soggetto. Fu molto discusso appunto per questa sua verità  di esecuzione, non facilmente allora ci si poteva adattare a vederci riprodotti con verità; l'adulazione nel ritratto era necessaria. Era realmente uno spirito parigino, e credo che egli sentisse come soltanto a Parigi si apprezzerebbe la sua pittura. Vi si recò infatti e vi si fece ammirare. 
 


Fig 4
Giovanni Boldini, La signora in rosa


Allora, quando frequentava il Caffè, gli artisti pur riconoscendo la freschezza delle sue tele, lo dicevano esagerato; vidi all'Esposizione di Parigi del 1900 alcuni suoi ritratti, premiati con medaglia d'oro, e vi ho ritrovato il medesimo Boldini della splendida caricatura fatta al Signorini, del ritratto fatto all'Abbati, e dei graziosi quadretti che vediamo sparsi quà e là negli studi
degli artisti di allora: una freschezza di colore meravigliosa, fattura larga, elegante, forse troppo, esagerazione dei tratti caratteristici, ma in fondo una verità indiscutibile, delle figure che si muovono, che respirano, che stanno per parlare.
Tiene alto a Parigi il nome italiano, e per quanto Egli forse non aneli ormai più al nostro cielo purissimo, pure son certa che ricorda con commozione i giorni passati al Caffè Michelangiolo.

Saverio Altamura (5) nato a Foggia nel 1826, studente di medicina fino al 1845, fu poi attratto dal miraggio dell'arte. Ottenne nel 1847 il pensionato di Roma, e venne in Toscana fuggitivo, perché compromesso nei moti del Maggio e condannato a morte dai Borboni. Era stato ferito al sopracciglio ed al pollice; per questa ferita Ferdinando II domandò se con quella mano poteva ancora dipingere. Visse 17 anni in Toscana, ed i giovani toscani entusiasmà col suo quadro è «Lo Scalpellino»; era bravo colorista, faceva dei quadri di soggetto biblico. Al principe dell'Aquila vendette il Cristo e l'adultera; nel 1848 espose La morte di un Crociato, ma Dio lo vuole, che apparve ai giovani come una rivelazione. 
 

Fig. 5
Ecco colui che andò all'inferno e tornò (1860-1865).
appartenente alla Collezione Venceslao di Persio di Pescara.


Per le Belle Arti di Firenze fece il ritratto di Carlo Troya. Dei quadri suoi si trovano a Torino, in Francia, in Germania. Viaggiò molto, ma non fu un vero ribelle in arte; si stabilità a Napoli.
Un altro grande che al Caffé sostò, e che dipinse in quell'epoca delle buonissime cose, fu Antonio Fontanesi, del quale il mondo si è oggi finalmente molto occupato.
Altri vi furono, che in Toscana studiarono, che succhiarono l'arte sui nostri colli, che presero parte attiva al movimento o che in quello si riformarono, e quelli considero come Toscani in queste mie note biografiche.

Tratto da Anna Franchi, Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi, Firenze, Fratelli Alinari, 1902

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