Chi era Federico Bobini? Parte prima

Vita di Federico Bobini, parte prima
detto Gnicche
Tratto da Cesare Causa, Delitti, arresto e morte del capo assassino Federigo Bobini detto Gnicche, Firenze, Adriano Salani, 1871

- Nascita di Federigo Bobini detto Gnicche.
Vicino ad un Poggetto, poco distante dalla città di Arezzo, cioè presso santa Firmina, l’anno 1842, ih una povera casupola di contadini, vedeva la luce un bambino, al quale i propri genitori, buona ed ottima gente, fecero porre il nome battesimale di Federigo, volgarmente poi detto Ghigo.
Il fanciulletto, vispo e gaio, sgranava fin da piccolo un paio d’occhietti furbi e vivaci per modo, che già per tempo spiegavano il carattere sveglio ed astuto, che avrebbe da grandicello acquistato.
I genitori del Bobini, benché avvezzi alla dura vita dei campi, ed alle fatiche del proprio mestiere, pure non trascuravano di tirar su il bambinetto, meglio che fosse possibile, senza tante seccature e complimenti.
Comunque fosse, egli cresceva a vista d’occhio, e più si faceva grandicello, tanto maggiormente si mostrava furbo ed ardito.
Rispondeva, pestava i piedi, voleva tutte le riffe a modo suo, e poi se il Babbo o la Mamma te lo scapaccionavano come si meritava, egli si metteva ad urlare, minacciava andarsene di casa, e faceva il diavolo a quattro, tantoché dai popolani di quei posti, era ritenuto per il piu cattivo ragazzo che ci fosse nel Paese.
Giuocare, ruzzare, portar via qua e là qualche cosuccia, queste erano le sue inclinazioni, malgrado i gastighi dei genitori, i rimproveri dei parenti, e le sgridate del Priore del posto.
Anzi, svogliato come si mostrava, pure la sua antipatìa maggiore fu pei Preti e per i signori in generale, ai quali se avesse potuto inventar dispetti se ne sarebbe ingegnato.

- Gnicche scappa di Casa.
Non aveva peranco compiuti 12 anni, che già il piccolo Bobini, a cui dai monelli suoi compagni era stato imposto il soprannome di Gnicche, cominciava a dar manifesti segni di brutalità e di cattiveria all’ultimo segno.
Quando giuocava pretendeva tutto per sé — cioè vincere e non perder mai.
Se chiassava, non aveva appena appena principiato, che le burle andavano a finire in pugni, tanto egli era stizzoso e fiero.
Anzi una volta si racconta che per aver rubato di tasca ad un compagno la pezzola, dove ci eran legati dei denari in una punta, ei negando il furto, diè di piglio ad un sasso, e te lo scaraventò di colpo sulla testa del ragazzo che piangeva il denaro rubato.
La faccenda fece rumore fra quei contadini, e tutti non facevano che dire e consigliare il suo Babbo:
— Badate galantuomo a cosa fate con quel ragazzo di Gnicche, egli è un certo mugherino, che se v'un ci pigliate rimedio, e’vi darà de’ dispiaceri.
E il poveruomo sospirando rispondeva:
— Avete ragione, ma che gli ho a fare? ammazzarlo?....
D’avanzo cerco di picchiarlo bene bene.... mai’ l’ho con la su’ Mamma, che la me l’avvezza per le forche!
— Sin qui avete ragione amico mio; ma le busse non contano, caro voi; saltava su a consigliare il Curato, presso cui spesso facevansi tali discorsi. Ci vuole scuola, istruzione, e se non basta all’Ambrogiana diritto come un fuso!
E mentre i poveri genitori e altri tenevano questi ragionamenti, Gnicche stufo delle bótte e delle grida, che ti fa? Una bella mattina di festa, fatto un fagotto delle sue robe, e portati via non so quanti quattrinelli alla Mamma, a quella medesima buona donna che tante volte gliene aveva risparmiate e perdonate, se la svignò quatto quatto per la campagna.

- Gnicche continua a fare il ladracchiolo.
Siccome a quell’età senza giudizio nè riflessione, non si pensa tanto per la sottile come le faccende vadano, cosi non si tosto ebbe finito quel pocolino che gli era riuscito prendere, Gnicche cominciò davvero a pensare a’casi suoi. — Se mi riacciuffano — diceva fra sè e sè, — chi sa dove mi metteranno; eppoi vai a vedere le legnate che mi toccherà a buscare !.. Mangiare voglio, perchè ho fame! Vediamo dunque se mi riesce di far qualche tiro a qualcheduno, giusto appunto del genere di quelli che ho fatto alla Mamma!
E così ruminando nel suo cervello, piccino sì, ma malizioso; e da bricconcello, si diede dapprima a piluccare qua e là qualche frutto, poi tirò ad acciuffare una gallina/ che andava quindi a rivendere con qualche scusa. Quanto poi al dormire e.d al resto, era contento di stendersi presso qualche capanna di fieno, o vicino ad un pagliaio, coprendosi dei pochi stracci che aveva indosso.
Però i genitori non se ne erano stati colle mani in mano, ma fattogli fare la caccia te lo poterono una sera sorprendere e riportare per gli orecchi a casa, dove giunto, se Mamma e Babbo gliene dettero, Iddio solo lo sa. Sua madre ci patì in detta sera, ma dovè riconoscere che il ragazzo se le meritava!
Gnicche sgomento, ma non intimorito del tutto, non appena ebbe guarito il groppone dai colpi ricevuti, ideò una fuga più ardita, che gii riuscì completamente.
Invece di batter la campagna, se ne fuggì defilato fino ad Arezzo.
Aveva ornai raggiunti i 15 anni, e la testa gli suggeriva maggiori risorse e consigli. Era predestinato al male, e doveva subire tutte le conseguenze che conducono a quello. Federigo Bobini non era nato nè per diventare un buon contadino, nè un bravo soldato, nè un padre di famiglia laborioso ed onesto.
Trascinato dalla cattiva indole e da un carattere viziato al delitto, si diè per tempo in braccio della mala vita, traendo ammaestramento dal tristo esempio di compagnacci oziosi, furfanti e malandrini come lui.

- Primo ingresso di Gnicche in Prigione.
In Arezzo, tuttoché bazzicasse una malvagia compagnia, pure siccome gli era di animo sveglio assai, e capiva come suol dirsi tutte le cose per aria, trovò anche delle persone le quali volentieri si servivano di questo ragazzo per fargli fare qualche serviziolo.
Tra le altre, una fanciulla di male affare, l’aveva preso a proteggere e oltre ad avergli accordato da mangiare e da bere, se lo faceva, rigirare intorno, onde le servisse, come suol dire di paraninfo. Ivi, siccome quella donna usava ricevere in sua casa qualche conoscenza, lo Gnicche imparò ad avere un certo tal quale aspetto ad'indifferenza , che unito in una certa franchezza a tutta prova, dimostrava esser, lui, non del tutto privo di discernimento.
Sarebbe stato un ragazzo capace ad imparar moltissimo, solo, che avesse avuto la fortuna d’inciampare in qualche persona benevola e dabbene, che per tempo l'avesse, tratto lungi, dall’abisso in cui stava per precipitare.
Col lavoro e l’ istruzione, Gnicche avrebbe sviluppato maggiori talenti, nè si sarebbe potuto perdere a commettere ogni sorta di delitti.
Non pertanto sapeva leggere e scrivere discretamente, tanto da non mostrarsi del tutto un’ignorante.
Fu dunque presso quella femmina depravata che imparò la conoscenza di altri due giovinotti, quasi dell’età, sua o poco, più maggipri di lui, relazione i che gli fruttò per laprima volta il carcere, quale, accusato di foziosità e Vagabondaggio con tendenza a delinquere.
L’aspetto severo, del Pretore non lo turbò sebbene non si fosse mai trovato davanti ad alcuna autorità, investita del mandato, di punire, i malvagi ed i cattici soggetti.
La prigione fu per lui, il lampi della luce; l'esser posto al buio con tanti altri ladroncelli, parve come mettere l’olio nella lucerna. Fu qui dentro che Gnicche imparò a conoscere due cattivi soggetti.
Ed è proprio vero infatti che le cattiveabitudini, i maggiori vizi, si contraggono là dove appunto si pretende correggere e prevenire il delitto e la colpa.
I due compagni, novelli dello Gnicche, portavano il soprannome l’uno di Gigetto e l’altro del Ghiora; quest’ultimo brutale e sanguinario quant'altri mai. Da loro imparò ben presto ogni sorta di mariolerie, e d’allora in poi quasi sempre se li ebbe seguaci in tutte le partite di furto e di assassinio.
I tre giovani furfanti precipitati nella via pericolosa delle cattive inclinazioni, s’erano al sortire da quell’oscura prigione, data reciproca parola di amicizia e di fedeltà.
Strana ed orribile unione, che bastò coll’andar del tempo, a metter sossopra ed in sgomento una intiera provincia, seminando essi sempre e per tutto il terrore, la paura, e lo spavento, sia colle audaci rapine, sia colle terribili aggresioni, sia coi furti e gli omicidi i più tremendi e spaventevoli.

-Gnicche si butta a far l'assassino di strada.
Però questa prima e leggera punizione non fu sola, giacché resosi maggiormente audace e risoluto, in breve tutt'Arezzo e le campagne circostanti, furon piene di straordinarie ruberie, tantoché
di nulla nulla, il Bobini, che è, che non è, te lo rasciugavano per sottoporlo a processo.
Ed ora veniva condannato a qualche settimana di carcere, ora alle prigioni per alcuni mesi, quasi sempre poi ne usciva con la sorveglianza della polizia e il cosi detto precetto delle ventiquattro.
Con tali principi, esordiva a passi di gigante nella via lacrimevole del delitto, sicché fattosi sempre più animoso e crudele, dotato come era di una certa fermezza di animo e di un ingegno non del tutto spregevole, Gnicche pensò fare un passo maggiore in avanti, gettandosi improvvisamente con alcuni soggettacci pregiudicati all’aperta campagna.
La sua gioventù, l'aspetto coraggioso e piuttosto belloccio, una agilità non comune, e più di tutto una forza alquanto rispettabile, imposero ai suoi stessi compagni di ventura, i quali tutti​ di accordo, vollero in esso riconoscere il proprio capo, l’uomo capace di dirigere le infami intraprese, immaginate pel solito in qualche nascosto casolare, o in un burrone nel maggior fitto della notte.
— Gnicche tu sarai il nostro Capobanda/
dissero a coro quei brutti ceffi da galera.
— Accettato! rispose il Bobini, sorridendo sdegnosamente, e assumendo tosto una tal aria di alterigia, che non avrebbe certamente avuto, se invece di quei mascalzoni si fosse trovato innanzi ad agenti della pubblica forza.. Poi dopo breve pausa soggiunse:
— Tu. Gigetto t'incaricherai come il più alluminalo di scovar terreno, e far ricerca del genere da sgraffignare: e rivolgendosi al Ghiora disse:
— Quanto a te poi, è un altro paio di maniche; io ti riserbo l'onore di maneggiare il coltello e il fucile quando occorra.
— Va bene così? Siete contenti?...,
— Bravo! bene! ottimamente! urlarono ad una voce quei sette o otto ladroni, che d'ora in avanti chiameremo assassini da strada.
— Viva Gnicche! gridò Gigetto, al qual saluto rispose subito lui medesimo.
— Si .viva, viva! Ma più di ogni altro viva il danaro! Morte ai ricchi! Abbasso i signori ! e con queste esclamazioni, parte si addormentarono sull’erba, altri presero il largo, per ossservare se qualcuno li udisse. Il patto era stato concepito, le promesse scambiate, le parti divise. Non mancava che un’occasione propizia, e questa pur troppo non tardò tosto a presentarsi.

- Gnicche aggredisce un Fattore, ma non l'ammazza.
La mattina dopo che quella turba di marioli aveva pronunziato il tremendo patto di sangue, un calessino che correva a tutta posta, si sentì da lontano, ponendo subito in agguato alcuni di quei malviventi.il Ghiora come il più feroce fra essi, voleva addirittura spianare il fucile verso chi si supponeva potesse così di buon’ora traversare quei luoghi, certo per qualche affare da sistemare alla fiera del vicino Paese.
Però stante le ragioni di Gigetto, la cosa non ebbe quel carattere brutale, che il compagno proponeva, ma invece cercato di scovare chi potesse mai essere il merlo, che in quel momento capitava loro sotto le ugne, Gnicche medesimo, fatto cenno ai compagni tacessero e si nascondessero, da sè solo si accinse a consumare quell’aggressione.
Ciò era per far conoscere quanto egli fosse capace, e così acquistar rinomanza e rispetto presso i sottoposti.
— Alto, chi va là ! tuonò la voce del Bobini al malcapitato, il quale dicesi fosse un grosso e grasso Fattore per nome Francesco di quei posti
— Ferma subito il cavallo, o se no ti brucio!...
Ed alla minaccia aggiunse il gesto, sì che il povero meschino ne rimase tutto impaurito, e voleva pregare e scongiurare gli avessero almeno salvata la vita.
— La vita vuoi salva? sborsa tutto l’oro che tieni costì serrato nella ventriera e ti assicuro che non morrai!
​— Ma io...
— Meno parole e più fatti. — o il danaro, o ti ammazzo come un cane, Fattore ladro e birbante più del tuo padrone!...
Il misero Fattore traendo mille sospiri, e fatto tremante e pallido per la paura, vide esser miglior partito fare il volere di quel manigoldo, consegnando l’oro richiesto nelle mani di Gnicche. 
— Ed è tutto qui il danaro? soggiunse Gigetto, sbucando all’improvviso dietro le costole dell’impaurito Fattore... Bada che se tu ne nascondi ti facciamo la pera!.. E preso il meschino con una mano per il collo, coll’altra lo minacciava con un lungo stiletto che aveva in mano.
Allora Gnicche rivolgendosi a quest’ultimo con una cera brusca brusca disse:
— Gigetto, lascialo andare per i fatti suoi.... Ma.... Bada bene però, che se tu parli in paese, la tua pelle dovrà rispondere per la tua lingua. Io abborro gli spioni, e guai, guai a te!
E con tali raccomandazioni che posero in maggior timore l'aggredito Fattore, essi se ne andarono, inboscandosi nel folto delle macchie, mentre il poveruomo frustava il cavallo a tutta possa guardandosi di tanto in tanto dietro le spalle.
Quest’audace aggressione, che per la prima volta venne consumata in pieno mattino, pose sottosopra tutti quei Paeselli, si che nessuno da quel momento in poi si azzardava traversare quelle località!
Gnicche aveva principiato il mestiere dell'assassino di strada, e meno male, che non s’insanguinò subito le mani.

- Arresto di Gnicche, che non cura per nulla le carceri.
Malgrado tutte le ricerche fatte fare dalla Polizia e dalle Autorità centrali, dipendenti dalla Prefettura di Arezzo, nulla si potè scoprire della terribile banda di Malfattori che infestava la provincia locale, sotto la dipendenza assoluta del Bobini, ormai divenuto celebre nella storia dei brigantaggio. Sottrattosi continuamente ad ogni ricerca, si diede sempre più in braccio della mala vita, rubando dapprima in povere case di campagnuoli, sia dei vezzi, orecchini ed altre bagattelle,
— prezioso patrimonietto di tante buone massaie ed ottime fanciulle da marito — sia frugando entro capanne e casolari di più agiati contadini, prendendo quanto gli capitava sotto di meglio, come danari, biancherie, rame ed altri, oggetti di valore, forse da quegli infelici messi assieme a forza di sudori, di risparmi e fatiche.
Generalmente il bottino veniva diviso coi compagni, ma la maggior parte toccava a Gnicche, perchè non era uso per carattere, a vagare insieme con gli altri — molte depredazioni e ruberie le consumava da sè solo — non rifuggendo poi dal dividere gli oggetti rapiti a talune donnacce di male affare, che in lui trovavano l'uomo facile ai piaceri brutali.
Ciò non impedì per altro che nel 1864 cadesse nella ragna, e che la Polizia te lo agguantasse caldo caldo in Arezzo stesso, ove egli appunto dopo un audacissima aggressione, si era recato per passarvi la notte, con una di quelle femmine disoneste.
Condannato per furto, resistenza e ferimento, si andò a squattrinare ogni cosa sul. conto suo, e si trovò essere stato perfino a sorprendere il padre per batterlo spietatamente, e ciò per vendicarsi, diceva, delle bótte che non seppe risparmiarli in onta alle carezze ed i rimproveri della Mamma! La pena che ne ricevè, non fu suffìcente a farlo emendare dai cattivi vizi e dalle brutte abitudini, ma invece vieppiù maggiormente lo irritò e lo rese ancora dell’altro prepotente e cattivo.
Benché fosse in principio contrario allo spargimento del sangue, e usasse risparmiare a più di un infelice la vita, non pertanto dopo che le condanne cominciavano a fioccare su di lui, il suo animo si accese di maggior fuoco, sicché rotto ad ogni freno si diede a farne di ogni sorta.
Sospettato quale autore di altri delitti nel Novembre 1868, e successivamente dopo pochi mesi di carcere, nell’Agosto del 1869, Gnicche fu di nuovo ricercato dalla forza pubblica per nuovi ed inauditi misfatti, fra cui vari omicidi e non pochi ferimenti.
La sua audacia, e più che di questa l’agilità somma del suo corpo, lo fece sfuggire alle grinfie della Polizia, dandosi di bel nuovo all’aperta campagna. Questa volta abbandonati alla ventura i Compagni, cominciò ad accarezzare l’idea di diventare una celebrità del genere di Enrichetto Stoppa, e difatti moltissime frodi e ruberie furono da lui esclusivamente commesse in danno di vari Possidenti e signori di quei Paesi.

- Gnicche ubriaco, cade in trappola da se medesimo.
Già la misura delle iniquità del Bobini era giunta al colmo, e tutti stanchi dell’indugio che si opponeva al di lui formale arresto, facevan voti ardentissimi per essere alla perfine liberati da questo masnadiere; quando ecco che una notte dopo di avere più del solito bevuto, Gnicche, stanco di girovagare ramingo e fuggiasco per le campagne, venne la volontà di fermarsi ad un borghetto di varie case, ed ivi con due suoi Compagni, andare all’osteria a far la seconda di cambio, come si suol dire.
Non l’avesse mai fatto! Il birbo non si era peranco introdotto colà dentro, imprecando come un animale; che le persone del posto riconosciuto Gnicche, poterono subito accorgersi con che razza di gentaccia avessero da fare in quella sera.
Parte col sospetto venuto naturalmente dall’aspetto sinistro e singolare dei nuovi capitati, parte pei discorsacci, il gergo e le maniere tenuti da essi, fatto è, che dato voce ad altre persone, la cosa si sparse per modo, che pervenne fino alle orecchie del Capoposto dei reali Carabinieri.
Darsi l’intesa, tendere l’agguato, e pigliare inoltre tutte quelle misure necessarie, onde accaparrarsi in anticipazione la riuscita del colpo che stavano per fare, la guardia di perlustrazione, composta per la maggior parte di Carabinieri, circondò chetamente l’Osteria, e quindi con un abile strattagemma, s'introdusse in parte anco dentro, nell’istante medesimo che Gnicche, reso sicuro di sè medesimo, si era appena sdraiato su di una panca, stanco ed ubriaco più di una monna.
— Ah ! finalmente tu ci giei! gli disse scuotendolo forte per le braccia, uno di quei Carabinieri.
Su presto, dimmi il tuo nome, di dove vieni, che fai qui? 
Alle replicate domande, e ancora fra il sui no, Gnicche si stropicciò gli occhi, si stropicciò le braccia sbadigliando; indi visto in un batter di ciglio con chi l’avesse a fare, tentò accennar di svignarsela, ma....
La conclusione fu, che non si tosto avea compito un tale atto, che subito ghermito, legato e posto in un baroccino fra due guardie, la fu tutt’una.
I cittadini d’Arezzo ed i contadini delle campagne vicine, si sentirono allargare il cuore dalla contentezza.
Gnicche, il temuto assassino, l’aggressore di tante innocenti vittime, era finalmente caduto in potere della giustizia!...
Gnicche arrabbiato e colmo d’ira nel petto, se per un momento dovè cedere alla forza, mulinava però nel suo Cervello, il modo di rendersi salvo e libero di bel nuovo.

 

- Condanna di Gnicche a 7 anni di Galera.
Tradotto Gnicche dinanzi i Giudici del Tribunale, alle intimazioni di quel Presidente non potè opporre, come avea fatto pel passato, le solite negative e menzogne!
La verità che si fa strada, anco traverso le più maliziose bugiarderie, era talmente chiara e lampante, che tutto concorreva a rendere inutile qualsiasi denegazione.
Gnicche posto alle strette, e sentendosi fra l'uscio e il muro, sebbene sentisse in cuore i suoi orribili propositi di vendetta contro coloro che furono la cagione del di lui arresto, Gnicche lo sfrontato e audace assassino, fu costretto dalle tante prove di fatto che gli parlavano contro, a confessare ogni misfatto, a dare ampie e minute spiegazioni sopra ognim delitto commesso per l'addietro, e tali e tante furono le colpe e le accuse che pesavano sul suo capo, che il Tribunale, dopo quattro sedute, ed esaurito l'esame di ben 70 testimoni, pronunziò finalmente la fatai sentenza che condannava Federigo Bobini detto Gnkche ad anni 7 di casa di forza, più cinque anni di sorveglianza e le spese tutte del processo. E questa pena gli venne inflitta per titolo di furti aggravati, aggressioni sulla pubblica via, ferimenti e percosse, fuga tentata e resistenza alla forza, con armi alla mano.
Il Popolo tutto applaudì al giudicato di quella Real Corte, e Gnicche tradotto in carcere venne accompagnato a suon di urli ed imprecazioni.
Se mai ci fu uomo al mondo che sentisse odio in cuore contro l'umanità, certo fu solo lui, non atterrito per niente, ma anzi con una sfacciataggine senza esempio, osò dirigere alla folla queste tremende parole di minaccia: — Fischiate, fischiate.... Ma se mi riesce sortire di qua dentro, Dio... (e qui smoccolò un’ orrenda bestemmia) giuro vendicarmi quanto è vero il Ciborio!...

- Congiura fra un Secondino delle Carceri e Gnicche.
Le porte fatali di quella oscura prigione, si erano appena appena riserrate dietro le spalle di Gnicche, allorché levategli le manette che lo tenevano stretto pei polsi, un Carceriere assai vecchiotto, conducendolo seco e facendoli strada nel corridoio (dove da ogni parte enormi spranghe di ferro, serravano le celle e i camerotti dei condannati) nel tempo che camminavano coi Carabinieri alle costole, gli disse:
— Finalmente tu ci siei venuto buona lana? Può essere, ma questa volta tu non ci scappi!
— Davvero eh? rispose l'assassino sorridendo maliziosamente; poi soggiunse: Bada, vecchio ladro, che non succeda tutto il contrario, e quando meno uno se lo aspetta!
— La, là in prigione birbante, e meno discorsi! sussurrò una di quelle guardie, mentre apertasi dal custode una cella, vi spinsero dentro con uno spintone lo Gnicche.
Quello che detto aveva il mariuolo, pur troppo doveva in breve avverarsi, perocché avendo durante le sue intraprese ammassato qualche gruppetto di marenghi, con essi tanto fece, tanto si adoprò, da riuscire a corrompere uno di quei guardiani conosciuti più comunemente col nome di Secondini.
Difatti una notte mentre tutti dormivano, e le sentinelle facevano la scolta al di fuori delle prigioni, s’intese da principio un piccolo fischietto, ed un insolito rumor di chiavi.
Era quel Secondino il quale attirato dalla potenza dell’ oro, piano piano s’introduceva nella cella di Gnicche, ove penetrato appena cominciò fra esso e l’assassino il seguente dialogo:
Gnicche — È pronto tutto amico?
Secondino — Tutto! le funi, le chiavi, il travestimento.
Gnicche — E tu dici proprio che ci riusciremo? Non avresti per caso il ticchio di farmi nuovamente legare come un salame?
Secondino — Vi pare, non vorrei mica arrischiarl’impiego e la persona.
Gnicche — Bada, bada bene.... altrimenti tu sai quello che son capace di fare....
Secondino — Non abbiate timore, affidatevi a me tranquillamente.
Gnicche — O gli altri son pronti?
Secondino — Prontissimi: sicché dunque coraggio, e nasca quello che vuol nascere.
E quel tristo, fatto ornai in sé stesso giuramento di seguire la sorte dei malandrini che avea preso a proteggere, aperte altre tre o quattro prigioni, fece uscir fuori certa gente, il cui solo ceffo, sarebbe stato capace d* incutere spavento al diavolo stesso.
La fuga venne con una certa abilità condotta a buon termine; e Gnicche, come il più agile, svelto e furbo, non si tosto si sentì libero, che ratto come il vento si allontanò, tenuto dietro a tutta corsa dal compagno Secondino.
Gli altri, fosse la paura, fosse che le sentinelle avessero sentito del rumore, fatto sta che gridatosi l'allarme, in un batter d’occhio soldati, guardie e altri impiegati saltarono fuori, e poterono giungere in tempo a riacciuffare una parte dei fuggitivi.
Gnicche però salvatosi, diede ben presto motivo a parlar nuovamente di sé, essendosi subito messo in opera per fare una vendetta atroce contro tutti quelli che gli avevano fatto la spia.

Parte prima.
Parte seconda.

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