Piazza del Granduca
oggi piazza della Signoria
Piazza Gran Duca nel 1846
Piazza del Granduca, quella che oggi si chiama della Signoria, la più antica e la più celebre di Firenze, aveva un'impronta speciale, un carattere tutto proprio, del quale non se ne ha più la minima idea.
La Dogana era in Palazzo Vecchio; e la porta dal lato di tramontana dietro al Cavallo [Statua equestre di Cosimo I de' Medici​] si chiama tuttora porta della Dogana. In quella parte della piazza, ogni giorno si scaricavano le balle della canapa che veniva da Bologna, con dei carri tirati da cinque o sei cavalli, e l'assistere a quell'operazione dello scarico, era uno spasso per i fannulloni d'allora.
Vi prendevan parte anche molti ragazzi, che si compiacevano ad aiutare i facchini che eran tutti svizzeri, i quali in compenso lasciavan loro accomodare alcune di quelle balle in fila, ad una certa distanza l'una dall'altra, perchè si divertissero poi a saltarle con intermezzi di capriole e di qualche caduta. Questo giuoco destava l'ammirazione dei forestieri, che tutti contenti del gratuito spettacolo ginnastico, davano un paolo o mezzo paolo di mancia ai più bravi.
Piazza Gran Duca nel 1837/1838
Il divertimento durava dalle dieci della mattina fino alle ventiquattro; ossia all'Ave Maria della sera, ora in cui dai facchini veniva riposta nel cortile, o sotto la grande vòlta, tutta quella mercanzia.
Le botti dello zucchero, dello spirito, del caffè e le altre merci, si depositavano nei sotterranei del palazzo; in parte anche nei locali che poi servirono all'Esattoria, ed il resto in quelli che oggi son destinati a Caserma delle Guardie.
Ma l'aspetto più caratteristico, la Piazza del Granduca l'offriva in tutta quest'altra parte compresa fra le Logge dell'Orcagna, la Meridiana e la Vecchia Posta.
Entrando da Via de' Calzaioli, si rimaneva ad un tratto storditi dal baccano e dal frastuono, come se si fosse a una fiera di campagna.
La gente non poteva quasi passare, tanta era la quantità dei ciarlatani, dei saltimbanchi, cantastorie, giuocatori di prestìgio, casotti di burattini, e carri con le scimmie o cani ammaestrati; venditori di semenza, di lupini, di sapone per cavar le macchie e di lumini da notte. C'eran quelli co' panieri de' dolci a forma di nicchia, fatti di tritello e miele, che s'empivano d'una specie d'acqua sudicia, battezzata pomposamente per rosolio, la maggior ghiottoneria dei ragazzi che andavano a nozze quando sentivan gridare: «Un quattrin mangiare e bere senza mettersi a sedere.»
Ad ognuno di quei banchi, o casotti, o carri, c'era sempre una folla di garzoni di bottega; e spesso si vedeva apparire qualche maestro, che con uno scappellotto ed una pedata simultanea, a colpo fisso quanto sicuro, prendeva per un orecchio lo smemorato ragazzo e lo riportava a bottega.
Carlo Ferrari (Ferrarin 1813-1871) - Loggia Dei Lanzi e Piazza Della Signoria