Dal Ponte Santa Trinita alla Barriera delle Cascine
Dialogo tra due persone intelligenti
— Puntuale il Signor Bissi !
— Sono arrivato pochi momenti fa e mi divertivo di questo pittoresco movimento di popolo e di vetture che non mi aspettavo trovare. È un punto incantevole.
— È di qui che è incominciata nel 1853 la trasformazione del quartiere che percorreremo. Questa sezione intercedente fra l'Arno ed il Borgo Ognissanti era sbarrata da un muro per il quale si accedeva al giardino dei Ricasoli, il cui palazzo era quello che Ella vede all'estremità del Lungarno Corsini. Facciate artistiche sul lato dell'Arno non ne esisteva alcuna, da questa parte non essendo che i terghi delle case del borgo nominato ed il terreno fra le case e le sponde è in gran parte imposto per raggiungere l'alzato necessario a tutelare le adiacenze dalle acque del fiume. Questo partito ha portato alla sensibile diversità dei piani fra il lungarno e le vie prossime ed è stato causa per il raccordo delle medesime, della costruzione dell’altipiano circoscritto dalla balaustra che ci sta dinanzi.
— Questa è stata una causa felice perchè quella balaustra con gli eleganti sedili e la bella statua nel mezzo mi par proprio che sieno quel meglio che occorreva a render anche più pittoresca una località alla quale fanno capo tante vie e forma punto di partenza ad un delizioso passeggio.
— Alla estremità o testata di quel terrazzino era venuto in idea al rimpianto astronomo Gr. B. Donati (Astronomo (Pisa 1826 - Firenze 1873) Treccani) d’accordo col capo dell'Ufficio d’Arte del nostro Municipio di collocarvi una meridiana e perchè riescisse più artistica non so se al Donati o a qualcuno del Consiglio d’Arte era venuto in mente di fare una fioriera in bronzo che sorreggesse un disco, sul quale doveva essere segnata la meridiana stessa mentre lo (Gnomone doveva essere tenuto fra le dita dell’altra mano di quella figura in modo che l’ago proiettasse sulle ore; e di quella idea che tanto gli era piaciuta, fece il Duprè un bozzetto che piacque quanto era piaciuta l’idea; ma, nonostante egli offrisse l’opera sua affatto gratuita, il Municipio per non spendere le sette od ottomila lire necessarie a tradurla in bronzo non ne fece più nulla e, senza lo zelo di alcuni dilettanti drammatici e la generosità di un altro artista il luogo sarebbe restato privo anche della statua di Carlo Goldoni (fig. 1).
— A proposito, di chi è quella bella statua?
— E del professore Ulisse Cambi, uno di quei vecchi artisti che sa coglier sempre con giovanile franchezza i più simpatici lati del vero.
-— E dell’opera del Duprè non se ne farà mai più nulla?
— Non se ne fece niente quando si diceva che gli Amministratori del Comune gettavano il danaro a palate: vuol che tornino a pensarci oggi che gli Amministratori del Comune tengono i cordoni della borsa più tirati che non convenga ?
— Intendo.... E questa prima casa apparteneva al vecchio giardino ?
— Sì, ma con altre forme; ed è qui che è morto un celebre incisore in pietre dure, Antonio Santerelli romano, le opere del quale nulla hanno da invidiare alle antiche (1). possiamo allungare il passo, perchè nel tratto fino alla piazza non avremo che da dare una occhiata di passaggio a quella fabbrica di due piani con basamento in pietra che è il tergo del palazzo Del Benino (fig. 2), fabbrica che bisogna giudicare per le parti più che per l’alzato giacchè il dislivello delle due vie che fronteggia non hanno permesso all'artista di darle le proporzioni volute (2).
Vedo da lontano che le sue finestre sono di una purezza classica.
La piazza che stiamo per traversare era chiusa sulla linea dei fabbricati da una muraglia con concellata in ferro e le mura della città mettevano dentro la fabbrica subito traversata la piazza che allora aveva proporzioni minori; il fianco Nord della fabbrica stessa dava sopra una delle più miserabili e luride vie di Firenze (3). Ma torniamo con l’occhio dalla parte dell’Arno: vede all’estremità della Pescaia quel basamento in pietra con una lapide in marmo? Oggi nel suo ripiano serve ai renaioli, ma fino a pochi anni fa vi sorgeva sopra una casetta per uso dei doganieri e da quel punto fino al torrino che è sulla linea di porta San Frediano correva un tratto di mura della città. Il greto sottostante si denominava al Sardigna e serviva all’interramento degli animali e di quanto si riscontrasse di dannoso alla pubblica salute. L’antipatico muro al disopra del punto della lapide appartiene al Seminario, ed è una disgrazia, perchè fra quello, la facciata del Tempio prossimo, il panificio militare con tutto l'aspetto di un brutto fortilizio, la caserma senza garbo nè grazia in prossimità del torrino, l’officina del gas, che segue la linea oltre le mura, la fonderia del ferro ed i miserabili prospetti del sobborgo detto del Pignone sono un gran brutto contrasto, o a meglio dire, un assai strano prospetto, ad una delle più belle passeggiate del mondo.
— Peccato!
— Peccato sì, e irrimediabile; nel paese dove gli uomini nascono col cervello più fino degli altri, pare impossibile, ma in certe cose la testa non l’adoprano mai, o quasi; e se qualche volta danno segno di servirsene stia sicuro che si principia, ma non si va in fondo di certo; la nostra è la città dei progetti e delle opere non finite (4).
Guardi, tornando a quella chiesa, non è nulla di bello; ma se avesse avuta la sua facciata, anche della forma più barocca, con quella cupoletta sì ben rilevata, come cosa decorativa, rispetto alla passeggiata, non avrebbe fatto male.
— Lo credo anch'io.
— Tornando a guardare dalla nostra parte, l’estrema fabbrica di questo primo gruppo di case la fece edificare Adelaide Ristori, la quale, disgustata per l’impegno di una lite che dovette sostenere per questo oggetto col proprietario vicino se ne disfece.
E una fabbrica ricca, e che ne dite voi ?
Per il momento nulla, perchè se dovessimo occuparci nella nostra passeggiata anche dell’esame delle fabbriche il tempo ci mancherebbe. Non vede che il sole sta per lasciarci?
Avete ragione; dunque continuate la descrizione a modo vostro.
Fino a questo punto la città non si era accresciuta che del Lungarno; la grande trasformazione incomincia di qui. Si è operato sopra un immenso triangolo, la cui base è sullo stradone che conduce al ponte di ferro, la punta spezzata su questa via Melegnano.
— Questo triangolo nella pianta mi aveva dato nell occhio ma non mi sapevo raccapezzare.
Spero che si raccapezzerà dal resto della mia chiacchierata. Vede l'isolato fra la via Melegnano e quella alla - fine del medesimo? Pochi anni fa era pressoché nudo di case, (5) non essendovi che alla sua estremità a destra Mulina esistenti fino dal secolo XIV. Codesto terreno era traversato, come lo è ancora, da un corso d‘ acqua derivato dall'Arno, che gli antichi chiamavano gora perchè pare servisse ai frati umiliati a purgare le lane alla cui lavorazione molto proficuamente attendevano.
— Quelli erano frati umili eh?
— Davvero. Questa gora aveva dato nome alla miserabilissima via della quale Le ho fatto menzione quando siamo giunti alla piazza di Ognissanti.
— Sta bene.
-— E mentre quella bella massa d’acqua serviva ad alimentare le mulina, bene incanalata fra muri giovava anche per uso di pubblici bagni che si denominavano della Vaga Loggia.
— Vi era forse una loggia in quel luogo?
— Non so, non ne ho trovato memoria; ma qui fu già un giardino, creatovi forse da Ferdinando I dei Medici (6) e che servì ad alcuni della sua famiglia come luogo di delizia. Quando furono abbattute le mulina codesto pezzo di terra passò al Comune e vi si almanaccarono sopra molti progetti. Chi lo voleva ridotto a giardino d’inverno, chi voleva inalzarvi per azioni una grandiosa locanda con tutte le attrattive e comodità immaginabili, chi infine voleva tornare a ridurlo a luogo di pubblici bagni, non certo della magnificenza delle Terme Diocleziane o di quelle di Caracalla, ma da servire decorosamente, in distinti locali, al povero e al ricco. (7)
— Mi sarebbe piaciuto. Ma dove sono i pubblici bagni a Firenze?
-— Nell’Arno. Vede i ricchi ai primi tepori d’aprile incominciano a prendere il largo, per dimenticare affatto la città, quando tutte le grazie della natura la rendono degna della fama che gode. Vanno ai monti ed al mare, nè possono essere sensibili a quello che converrebbe a Firenze nella stagione estiva.
—- È come da noi; seguono la moda.
— Restava alla città un altro pezzo di terreno non meno adatto di questo al necessario stabilimento ed il benemerito architetto Giuseppe Poggi lo aveva posto in vista al Comune; ma crede lei che, nonostante l’autorità di questo valentuomo, gli si desse il minimo ascolto? Nemmeno per sogno! Quello che doveva servire all’uso del bagno servirà alla costruzione di una caserma e la città perderà un benefizio che anche con milioni non potrà riacquistare mai più (8). Questo largo, che separa i palazzi Fici e Favard (9) serviva di scaricatore nell’Arno di una parte delle acque che avevano servito alle mulina, le quali, gorgogliando e frangendosi assai pittorescamente fra i massi, si dividevano, andando parte ad alimentare quel canale che vedrà più oltre scoperto e che dall’ufficio al quale è destinato prende il nome di Canale Macinante (fig. 3). All’estremità di questo largo sulla linea di Via Montebello, era una porta, per uso delle stesse mulina, ai cui fianchi attestavano le mura di cinta della città che, da una parte, giungevano alla piazza d’Ognissanti, dall’altra erano innestate ad un torrino che ancora resta in piedi fra l’antica porta al Prato e l’Arno.
— Ho inteso.
— Presso a poco dove è oggi la cancellata dei palazzo Favard era un forte bastione eretto per Cosimo I da quel capo ameno di Benvenuto Celini per assicurare in quel punto la città da qualche sorpresa al tempo della guerra di Siena. (10) Il palazzo della Favard, e quello che fa punta fra l’Arno ed il Corso Vittorio Emanuele, fatto edificare da un conte Calcagnini se li esaminerà con comodo da sè in altro momento. Io per ora Le dirò solo che sono eretti col disegno dell’architetto Giuseppe Poggi. Qui dove siamo si perveniva dalla Porticciuola, per una strada angusta posta fra mezzo alla scarpata del fosso di scarico ed il bastione che ho nominato. E di qui che incominciavano le Cascine.
— Perbacco! questo non lo immaginava davvero.
— Un viale con piante centenarie ci conduceva diretti dove oggi incomincia quello che prende nome dal Re, anzi ne formava una cosa sola; bei prati, con siepi, non interrottamente lo fiancheggiavano e quando nel 1853 il Comune di Firenze imprese la trasformazione di questa zona un bravo ingegnere, il Pumi, ne proponeva la conservazione, limitando il caseggiato fra la presente parte destra del Corso Vittorio Emanuele ed il Fosso Macinante, che egli dotava di una sola via sulla sinistra della corrente, mentre tutto il terreno intercedente fra la destra sponda di quel corso d’acqua e le mura riduceva a giardino.
Bel progetto, ma a vero dire non mi dispiace nemmeno quello eseguito.
- Siamo d’accordo, tanto più che per l’adozione, del progetto municipale abbiamo la fortuna di avere il palazzo Favard mentre il Pumi il terreno che ha servito a questo edilizio lo aveva destinato ad una piazza alberata, riserbando a tempo opportuno di ornarla con un monumento.
— A proposito di monumenti ve ne starebbe male uno davanti a questo palazzo che fa punta?
— Stupendamente! ed infatti si è ventilato più volte di porvene qualcuno, ma non si è ancora trovato il verso di far qualcosa in proposito. Questo piazzale doveva servire di sfogo ad un ponte che nel suo piano regolatore aveva proposto il più volte nominato architetto Poggi, ma, come cosa troppo dispendiosa, quel progetto fu messo da parte.
— Ma sapete che è un sacrificio che Firenze è necessario che faccia? La distanza che intercede fra il ponte alla Carraia e quello di Ferro è enorme.
— Firenze ha fatto molto in questi ultimi tempi, ma molto le resta ancora da fare e confido che col progressivo miglioramento del suo bilancio, se ella vorrà potrà far questo e altro. Ora, guardi un momento a me: vede il primo isolato di destra del Corso Vittorio Emanuele? E grande eh? Ebbene, codesto doveva essere nè più nè meno che un solo ricco fabbricato da edificarsi a spese della Società intraprenditrice delle opere occorrenti alla riduzione dei lavori di questo luogo: se ne gettarono le fondamenta, si alzò un bel bugnato per alcuni metri e.... e quindi si frazionò il già edificato e in luogo dell’unico palazzo è sorto quel che vediamo; e, se osserva, troverà che i basamenti delle nuove fabbriche sono tutti uniformi per la cagione che ho detto. Va ancora oltre Lei?
Voglio arrivare fino alla barriera.
— Io non posso seguirla. Ma alla barriera non guardi perché è una cosa posticcia messa su lì per lì a tempo della prima esposizione italiana nel 1861. Progetti per quella non ne sono mancati; io li conosco quasi tutti, ma non La voglio intrattenere su questi perchè non re ne è stato alcuno di merito. Su questa Via Vittorio Emanuele vedrà il palazzo fatto edificare dalla contessa d’ Almafort, alla quale mancò l’artista, non ella all’arte chè, aveva fatto le cose veramente alla grande. Poco più oltre, alla destra, vedrà la facciata del Politeama, di questo teatro un tempo pienamente diurno e sul quale si era scritto che Firenze, suddita o regina, scriveva la sua storia nei monumenti. Codesta iscrizione fu fatta togliere dall’ autorità politica non so perchè; io mi sarei guardato dal mettervela, o avrei fatto di tutto onde tosse cassata; perchè se il Politeama era un edificio non volgare non era tale che la generazione presente si potesse vantare di aver fatta opera quale il palazzo della Signoria, San Michele, la torre di Giotto, Santa Croce, Santo Spirito e Santa Maria del Fiore; edilìzi che potrebbero realmente, in mancanza di scritti, riassumere la storia del nostro paese.
— Dunque mi lasciate? E dei palazzi quando ne discorrerete?
Dei palazzi? Ah sì! dei palazzi dirò qualcosa a suo tempo nell'Osservatore, ma parlerò di tre soli: di quello fatto edificare dalla Ristori, di quello Levi e di questo Favard.
— E degli altri ?
— Degli altri mi tacerò perchè credo non convenga fare menzione.
— Dunque aspetto con impazienza i vostri giudizi; addio.
(1) Su questa casa nella facciata a tramontana vi è la relativa memoria.
(2) Questa fabbrica è segnata di N. 8, ed è ridotta al modo che si vede dall’Architetto Giuseppe Poggi.
(3) Questa strada è convertita oggi nella Via Montebello ed arrivava fino alla Via Curtatone.
(4) Dove è oggi la caserma erano i pubblici macelli e questi e il gazometro l'architetto Poggi aveva proposto collocare altrove. Al tempo della capitale provvisoria del regno, egli riusci a remuovere gli ammazzatoi, ma il gazometro è probabile che resti eternamente dov’è.
(5) Questa sezione non aveva che le Mulina; quella al di là del palazzo Favard di case aveva quella che si è conservata aggrandendola alcun poco in angolo fra il Corso Vittorio Emanuele e la Via Garibaldi, la quale avanti l’edificazione del quartiere serviva ad uso di Trattoria, e si chiamava la trattoria del Navalestro, perchè prima della costruzione del ponte in ferro era davanti a lei che approdava la cosiddetta nave, che transitava i passeggeri da una parte all’altra dell’Arno.
Altra casetta esisteva al di là del fosso all’estremità della presente Via Solferino ed è quella che circondata da un cancello di ferro forma testa di via: questa casetta serviva per l’uso del giardiniere.
(6) L’orto Ferdinando occupava tutto lo spazio compreso fra questo punto e la linea delle mura della città, ma questo pezzo della Vaga Loggia si chiamava il Giardino della Porticciuola.
(7) Più tardi codesto pezzo di terreno passò nel Demanio quando facendo egli man bassa sulle belle piantagioni delle Cascine fu forzato dalla pùbblica opinione a permutare il delizioso passeggio con altre proprietà comunali.
(8) Questo spazio è occupato oggi dal fronte del parterre presso il ponte di ferro sul Lungarno della Zecca Vecchia ed è stato ceduto dal Comune di Firenze al Ministero della guerra per costruire una caserma di cavalleria che il Ministero stesso si era obbligato, quando volle gli si acquistasse lo spazio per il gran campo di Marte, di edificare opportunamente presso il campo medesimo.
(9) Via Curtatone.
(10) Di questi punti fortificati, altro ve ne era presso il fiume nel largo che forma oggi la piazza degli Zuavi, aveva nome di Baluardo del Serpe, ed è stato abbattuto nei primi anni del secolo presente.
L'antico Osservatore deve dire la sua anche sulla facciata del Duomo di Firenze. Avrà avuto ragione?
Mi piacerebbe presentarvi un uomo, fra i pochi, che non è stato mai cattivo con me; un giorno sparì e rividi solo le sue interiora, i suoi “quartiâ€, i quali rimasero attaccati ai pali ed al canto del Mercato Nuovo
L'antico Osservatore ci Parla della Villa degli Alighieri oggi Villa il Garofano.
L'emozione soggettiva invade notazioni commerciali e tabelle monetarie e affianca alle "ragioni di bottega".