Le manifatture di Montedomini

Le manifatture della Pia Casa di Lavoro di Montedomini. Una storia di inclusione, lavoro e trasformazione.

Nel cuore della Firenze ottocentesca, in via dei Malcontenti, si trovava la Pia Casa di Lavoro, un'istituzione che univa assistenza sociale e produzione manifatturiera. Questo ospizio, oggi noto come Montedomini, fu un punto di riferimento per l'accoglienza di giovani in difficoltà, mendicanti e vagabondi, offrendo loro una possibilità di riscatto attraverso il lavoro. Ma la sua storia è ben più complessa e affonda le radici in un tessuto di cambiamenti sociali, politici ed economici che hanno plasmato la sua identità e il suo ruolo. Le donne giocarono un ruolo cruciale all'interno della Pia Casa, contribuendo in modo significativo alla produzione artigianale e all’organizzazione interna. Quando i conventi che ospitavano le monache furono soppressi agli inizi dell’Ottocento, molte di loro rimasero coinvolte nelle attività educative e di assistenza ai poveri e agli orfani. Le donne lavoravano principalmente nei settori tessili, come la filatura e la tessitura, nonché in altre attività tradizionalmente legate alla cura e alla manutenzione degli spazi.

Questa presenza femminile era fondamentale sia a livello produttivo che educativo. Le giovani donne orfane o indigenti venivano formate in mestieri che avrebbero permesso loro di guadagnarsi da vivere una volta uscite dall’istituto. La preparazione che ricevevano non riguardava solo competenze pratiche, ma anche la disciplina e la morale, rendendo le ragazze pronte per il mondo esterno. Inoltre, le lotterie organizzate in occasione della festa di San Giovanni, dove venivano venduti i manufatti prodotti nella Pia Casa, avevano lo scopo di finanziare doti per alcune di queste ragazze povere, garantendo loro un futuro più stabile​.
Le tecniche di produzione all’interno della Pia Casa non furono statiche, ma si evolsero nel tempo seguendo l’evoluzione dell’economia e dell’artigianato locale. In particolare, la filatura della lana e la lavorazione dei tappeti erano due delle attività principali, ma si lavorava anche il ferro, creando utensili e strumenti che venivano utilizzati a livello locale e non solo. La produzione tessile includeva diverse fasi: la filatura, la tessitura e la rifinitura, con tecniche come la cardatura per ammorbidire la lana e renderla più isolante. Le filature di lino e canapa erano altrettanto importanti, e i prodotti venivano destinati alla comunità locale o venduti in occasione di fiere e mercati. 

La fabbrica di tappeti rappresentava uno degli esempi di artigianato più pregiato, e la sua produzione attirava l’attenzione delle classi agiate fiorentine. L'introduzione di queste tecniche nel contesto di un ospizio come Montedomini non solo forniva formazione e opportunità di lavoro ai più bisognosi, ma contribuiva anche all’economia locale. I prodotti realizzati all'interno dell'istituto venivano venduti durante le celebrazioni della festa di San Giovanni e in altre occasioni, portando profitti che venivano reinvestiti nell'ospizio stesso e in progetti di beneficenza​.
Il passaggio da conventi a ospizi di lavoro non fu un semplice cambio di destinazione, ma rifletteva un mutamento profondo del contesto sociale e politico del periodo. 

Durante il dominio napoleonico, a partire dal 1808, venne attuata una politica di soppressione degli ordini religiosi, con la confisca dei beni ecclesiastici per essere utilizzati a fini civili. I conventi che un tempo ospitavano le monache furono trasformati in spazi dove si cercava di reprimere l’accattonaggio, una delle piaghe sociali dell’epoca. La Pia Casa di Lavoro, nata da questa trasformazione, aveva lo scopo di fornire una risposta al problema della povertà urbana, offrendo ai più vulnerabili la possibilità di contribuire alla società attraverso il lavoro. Il modello di ospizio-laboratorio seguiva un principio utilitaristico, secondo cui i poveri dovevano essere messi in grado di sostenersi da soli, con la sorveglianza delle autorità locali. Si trattava di un modello che cercava di evitare l’assistenzialismo passivo, promuovendo al contrario il concetto di lavoro come redenzione e inserimento sociale​.
Questa trasformazione fu anche il riflesso di un cambiamento più ampio: il declino del potere religioso e la crescente centralità dello Stato, che si assumeva la responsabilità di gestire questioni sociali come la povertà e l’educazione. Nel caso di Montedomini, questo passaggio fu sancito dalla fusione con l’Orfanotrofio di San Filippo Neri e dalla creazione di un'unica amministrazione che supervisionava sia l’assistenza agli orfani che la gestione del lavoro per i poveri​.
 

Il frontone all'ingresso in via De' Malcontenti
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