Antico e sincero ritratto di Dante

Del più antico e sincero ritratto di Dante Alighieri


Ritratto di Dante, part. dell'affresco in Palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai (Firenze)
 

Luigi PasseriniCuriosità storico artistiche fiorentine scritti di Luigi Passerini, Firenze, Stefano Jouhaud, 1866
Passerini, Luigi (propr. L. Passerini Orsini dei conti Rilli). - Archivista, bibliotecario, erudito (Firenze 1816 - ivi 1877). Archivista nell'Archivio di stato di Firenze dal 1845, deputato nel 1861, quindi (1871-74) direttore della nuova Biblioteca Nazionale di Firenze, fu studioso della storia medievale fiorentina e autore di numerose, pregiate genealogie di famiglie fiorentine.​

"Invitato dal Ministero della Istruzione pubblica, nel 1864, a farmi compagno del cavaliere Gaetano Milanesi nel designargli quale noi reputassimo il più antico e veritiero ritratto di Dante, per modellare su quello la medaglia da coniarsi nell’occasione del suo centenario, satisfacemmo all’ incarico, presentando la imita memoria da me dettata.
 

Onorevole Signor Ministro.
Non si potrà giammai lodare abbastanza la bella deliberazione presa da cotesto ministero di volere, mediante una medaglia, perpetuare la memoria del giorno nel quale tutta Italia celebrerà il natalizio del suo maggior poeta; e noi, al pari d’ogni buono italiano, mentre ne siamo lietissimi, ci riputiamo a grande onore di essere stati richiesti di dire il nostro parere intorno al più autentico ritratto che oggi s’abbia, o si conosca dell’Alighieri. Ma per corrispondere più convenientemente e nel miglior modo che per noi si può al commessoci incarico, che ben volentieri e di tutto cuore accettiamo, bisogna che ci addentriamo colla maggior considerazione, e colla più scrupolosa critica in somigliante argomento.
Scrissero Filippo Villani, Giannozzo Manetti, ed in ultimo il Vasari che Giotto ritrasse Dante nella cappella del Palagio del Potestà di Firenze, insieme con Corso Donati e Brunetto Latini: e questi ritratti, stati per lunghissimi anni nascosti insieme colle altre pitture della cappella, furono nel 1841 scoperti, e restaurati, come ora si vede, dal professore Antonio Marini.
Noi non porremo in dubbio che veramente in quel luogo sia tra gli altri il ritratto del Poeta, ma neghiamo ricisamente che esso sia stato dipinto dalla mano di Giotto. A questo ci conducono due principali considerazioni; l'una è rispetto al tempo in cui si vuol dipinto quel ritratto, l’altra rispetto al luogo.
Quanto al tempo, se noi riguardiamo alla età che mostra Dante, ci pare che non possa essere maggiore di 25 anni; almeno oggi apparisce così.
 

Ritratto di Dante tradizionalmente attribuito a Giotto (o di scuola giottesca). Affresco nel Palazzo del Bargello, Cappella della Maddalena, a Firenze.​
 
Qualora poi si volesse che, non nel 1290, ma tra il 1303 e il 1321 Giotto dipingesse quel ritratto (ritetenendo che nella sua prima e vera forma rappresentasse il poeta più attempato, e che se oggi se lo mostra così giovane, se ne debba accagionare il restauro fattone dal Marini, quando esso era assai guasto, mancante dell’occhio bucato da un arpione, e stracciato nella guancia, come si riconosce benissimo dalla cromolitografia cavata sul calco fatto sopra il ritratto appena fu scoperto) nascono allora altre difficoltà principalissime tra le quali sono: che giammai l’artefice avrebbe potuto dipingere in compagnia dell’Alighieri, quel Corso Donati che fu capo della parte Nera, e senza forse, principale cagione della condanna e dell’esilio del poeta; e che nel palazzo, residenza e tribunale del potestà, e dove Cante de’ Gabbrielli aveva nel 1303 profferita la sentenza che condannava Dante al fuoco, si dipingesse l’immagine sua, e quella del Donati, la cui memoria era allora odiosa alla città; e se pure dipinta, non fosse tosto cancellata. Non nella cappella di quel palazzo ma sì bene sulla sua facciata si dipingevano per ignominia i ribelli e i traditori del Comune, e questo era il luogo che la ferocia della fazione nemica e vincitrice avrebbe destinato all’ immagine del grande poeta.
 


Ritratto di Dante attribuito a Giovanni del Ponte, raffigurato sul verso del foglio di guardia del codice Ricc. 1040 della Biblioteca Riccardiana di Firenze.


Pure vogliamo per poco concedere, che questo ritratto, non ostante alcune ragioni da noi addotte in contrario, sia stato dipinto da Giotto, non nel 1290, ma dopo il 1321, quando, già morto l’Alighieri, all’odio delle fazioni nemiche, successe l’ammirazione de’ suoi concittadini verso il grande ed infelice poeta; ma allora bisogna dire, che esso, insieme colle altre pitture che ornavano quella cappella, andassero in tutto perdute nel furioso incendio che ai 28 di febbraio del 1332 guastò il palagio del Potestà, in modo, che si dovette rifarlo da’ fondamenti: il qual lavoro, per varie cagioni, e tra l’ altre per il nuovo incendio patito nella cacciata del Duca d’ Atene, solo nel 1345 ebbe il suo ultimo compimento è forza dunque il concludere che le pitture che anche oggi si vedono. Nella cappella del palazzo pretorio, e per conseguente il ritratto del poeta e degli altri, siano posteriori all’anno suddetto: certamente poi posteriori al 1342, perchè allora soltanto fu, coll’annullamento delle condanne, riabilitata la memoria dell’ Alighieri, e fatto possibile che la sua immagine fosse dipinta in posto di onore, ed in un edifizio di proprietà del Comune. Ora a noi pare che il tempo loro sia accertato dall’arme dipinta a’ piedi della figura orante del Potestà che le fece fare; e questa arme appartiene a messer Tedice de’ Fieschi, il quale tenne quell’ufficio in Firenze nel 1358: onde ne segue che Giotto, morto fino dal 1336, non potè essere il pittore chiamato a condurre quell’ opera. A nostro avviso essa è lavoro di Taddeo Gaddi, il più amato e il più valente tra i suoi discepoli; e c’induce in questa opinione il fatto che, essendo eletto questo insigne artefice a dipingere nella cappella de’ Rinuccini nella sagrestia di S. Croce alcuni fatti di S. Maria Maddalena, si servì della quasi medesima composizione che aveva usata nella cappella del Potestà, dipingendovi istorie di quella santa: il che egli non avrebbe certamente fatto, per non commettere un plagio, se questi affreschi fossero stati opera di altri.
 


 Raffaello Sanzio, ritratto di Dante: partic. dell’affresco La disputa del Sacramento (1509), nella Stanza della Segnatura, Città del Vaticano.


E il Gaddi potè ritrarvi l’Alighieri, la cui fama di gran poeta avea fatto scordare le ire cittadine di una ingratissima patria, che già ne aveva restituito la memoria cancellando le sue diverse condanne; e potè forse servirsi in questo dei disegni di Giotto, il quale doveva aver conservate tra i suoi ricordi le sembianze dell’amico poeta: potendosi anche credere che da questi ricordi traesse pure il Gaddi il ritratto di Dante che, insieme con Guido Cavalcanti, dipinse a fresco nel tramezzo di S. Croce, non parendoci che egli avesse potuto conoscere di persona l’Alighieri: il quale ritratto, perito per la demolizione di quel tramezzo fatta dal Vasari nel 1566, servì poi d’esempio a quanti antichi pittori ebbero a rappresentare il poeta. Tantoché se tuttora esistesse, noi sènza dubbio anteporremmo questo ad ogni altro, non eccettuato quello della cappella pretoria per le ragioni già dette: ed anche perchè il Marini dovè rifare di nuovo l’occhio e gran parte della guancia, essendo caduto l’intonaco, e la pittura con quello, nello strappare un chiodo ch’era stato confitto appunto sull’occhio.


Andrea del Castagno, ritratto di Dante: affresco (databile fra il 1449 e il 1451) nel cenacolo dell’ex convento di S. Apollonia, a Firenze.


Ma non potendo avere quello del Gaddi in Santa Croce, fa ora di mestieri esaminare se e in qual modo ci si possa supplire.
Non pochi ritratti di Dante restano ancora in Firenze, tutti del secolo XV; alcuni in miniature, altri a fresco ossivvero a tempera. Il codice Palatino 320 ne ha uno toccato in penna e lumeggiato con bistro; ma esso è evidentemente opera della seconda metà del secolo XV, alla quale età deve del pari riportarsi la scrittura del libro, nonostante che il cavalier Palermo l'abbia nel catalogo di quella Biblioteca assegnato al secolo antecedente. Del resto quella effigie del poeta può da chiunque lo voglia vedersi diligentemente incisa nel catalogo suddetto alla pag. 596 del Tomo II. Altro ne ha il codice Laurenziano, che è il 174 di provenienza Strozzi, coll’anno 1327; e per questa cagione si tiene custodito sotto cristallo e si mostra agli stranieri come uno dei cimelii della biblioteca: ma emerge chiara la falsità della data suddetta, quando si dice che il codice contiene i Trionfi del Petrarca, e che fu scritto da Bese Ardinghelli vissuto fin oltre il 1470; da che si rende manifesto che esso codice non solo debba esser tolto dalle rarità poste in pubblica mostra, ma che sia ancora da correggere il Bandini, là dove nel suo catalogo Laurenziano afferma che fu scritto nell’anno sopra notato. Al contrario, assai prezioso è il ritratto dell’ Alighieri che sta nel codice Riccardiano 1040, appartenuto, a quanto appare dallo stemma e dalle iniziali, a Paolo di Jacopo Giannotti nato nel 1430, nel quale sono le poesie minori dell’Alighieri insieme con quelle di messer Bindo Bonichi.
Questo ritratto, che è di grandezza la metà del vero e colorito all’acquerello, rappresenta il poeta, secondo le sue caratteristiche fattezze, nella età di oltre a quaranta anni, senza quelle esagerazioni dei posteriori artisti che hanno fatto di Dante un profilo di brutta vecchia, caricando il naso e le prominenze del labbro inferiore e del mento; è tale insomma che, a nostro avviso, dovrebbe a tutti li altri preferirsi qualora la testa del poeta da incidersi in medaglia dovesse essere di profilo, come pare più ragionevole.
 


Domenico di Francesco, detto di Michelino, partic. raffigurante Dante e il suo poema: tavola nella basilica di S. Maria del Fiore, a Firenze (1465 circa).


Andrea del Castagno dipinse a fresco l’immagine del divino poeta in una villa dei Pandolfini presso a Soffiano: e questa pittura, trasportata sulla tela, trovasi ora nel Museo Nazionale. Ma il Del Castagno effigiò Dante quale lo vedeva nella sua fantasia: niente conservando delle note fattezze del poeta che rammentano quelle della razza etrusca, e si riscontrano ìd grandissima parte degli illustri fiorentini di quel tempo e degli anni più antichi e dei posteriori: laonde questa immagine non può aversi in conto veruno. Al contrario, se tuttora esistesse, sarebbe da fare gran capitale di quello che nel 1430 fece dipingere maestro Antonio frate dell’ordine di S. Francesco ed espositore della Divina Commedia nel nostro Duomo, appendendolo in quel tempio;
« per ricordare a’ cittadini che facciano arrecare l'ossa di Dante a Firenze, e fargli onore, come e’ meriterebbe in degno luogo.» Al quale oggetto, fra gli altri versi, egli aveva fatto scrivere sotto quella tavola
 

Onorate l'altissimo poeta,
Che nostro è, e tiellesi Ravenna,
Perchè di lui non è chi n’abbia pietà.


Ma può supplire alla mancanza di questo il ritratto che tuttora ha onorata sede nella medesima chiesa, dipinto in tavola, per commissione degli Operai del 1465, da Domenico di Francesco detto di Michelino, scolaro di frate Giovanni Angelico, secondo il modello di Alessio Baldovinetti; sotto la qual tavola sono scritti i tre noti distici latini composti da Bartolommeo Scala e non da Coluccio Salutati, come vorrebbe il Del Migliore nella Firenze illustrata. Fu questa tavola per lunghissimo tempo attribuita all’Orcagna, fino a che il Gaye, nella prefazione al secondo volume del suo Carteggio d’artisti, non l’ebbe coll’aiuto di autentici documenti restituita al suo vero autore. E questo senza dubbio è il più antico ed accertato tra i ritratti dell’Alighieri che rimangono ancora, potendosi congietturare che sia stato fatto tenendo ad esempio quello dipinto da Taddeo Caddi in Santa Croce, come si è detto. Per conseguenza noi proponiamo questi due ritratti, cioè quello che è nel Duomo e l’altro del codice Riccardiano, e prima questo che l'altro, come i più autentici, e come quegli che meglio ci hanno tramandate le sembianze del grande Alighieri. Non accade qui parlare di un quadretto in tavola proveniente da Ravenna, e colà ritenuto qual pittura di Giotto, posseduto al presente dallo scultore Enrico Pazzi: perchè invece di darci la immagine di Dante, rappresenta quella di un qualche signorotto del secolo XV, e forse di Sigismondo Pandolfo Malatesta come può riscontrarsi dalle medaglie che per lui coniarono il Pisanello e Matteo Pasti.
 


Sandro Botticelli, ritratto di Dante (1495 circa), Genève, Collez. priv.


Passando ora alle opere di scultura, nulla possiamo dire intorno al busto in bronzo del Museo di Napoli, perchè non lo abbiamo veduto: pure intorno a questo faremo notare che è assai difficile di potere assegnare al secolo XIV un busto di bronzo non essendovi alcuna altra memoria che questa usanza di rappresentare gli uomini illustri fosse nella pratica dell’ arte e ne’ costumi di quel tempo. Vorremmo bensì trattenerci alquanto intorno ad un’opera in gesso che gelosamente e colla dovuta venerazione conservano qui in Firenze i marchesi Luigi e Carlo Torrigiani, (1) e che dicesi essere una riproduzione, così detta a forma perduta, della maschera calcata sopra il cadavere di Dante; se non ci ritenesse il riflettere che, dato e non concesso che ella sia realmente cavata dalla maschera del Poeta, ed abbia pari antichità, ci parrebbe mal conveniente alla glorificazione che si prepara al poeta di riprodurre la faccia sua quando la malattia e poi la morte ne avevano alterate assai le fattezze."


 (1) Ora depositata nella Galleria degli Uffizi.

 


Luca Signorelli, ritratto di Dante: affresco (databile fra il 1500 e il 1504) nella Cappella della Madonna di San Brizio, nel Duomo di Orvieto.
 


Agnolo Bronzino, Dante rivolto verso il Purgatorio, 1530. National Gallery of Art, Washington


Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, 1883.​


 

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