Giornalai e giornalisti

Giornalai e giornalisti
di Carlo Collodi




Carlo Lorenzini in una caricatura
di Angiolo Tricca del 1875

 

I giornali politici si dividono per il solito in tre grandi categorie: Indipendenti, ministeriali e neutri.
— Quali sono i «Neutri?»
— Si chiamano così tutti quei fogli che, nella stampa periodica, non hanno un sesso determinato.
Ermafroditi della politica, nascono all' improvviso in qualche modesta stamperia; sbadigliano un programma senza colori e senza sapori, e dopo aver campato sei mesi o un anno cibandosi di abbonamenti anticipati e d'inserzioni a pagamento, muoiono un bel giorno, di morte repentina, lasciando in mezzo alla strada un gerente orfano e uno stampatore inconsolabile, per conti non soddisfatti.

— Che cosa è un «Giornale serio?»
— Neil' opinione di molti, giornale serio è quasi sempre sinonimo di giornale noioso. Viceversa poi, giornale noioso ò sempre sinonimo di giornale serio.
— Che cosa sono i «Giornali umoristici?» 
— Si regalano da se stessi il soprannome di «umoristici» quei giornali che fanno ridere, o che suppongono di far ridere. Se per caso, leggendoli, nessuno ride, la colpa si capisce bene che è tutta dei lettori. Un lettore che compra un giornale umoristico, e poi non ride, è un imbecille che non sa spendere i suoi quattrini giustificati. Merita il curatore.
— A che servono i «Giornali pornografici?» 
— Servono a dire in pubblico tutte quelle cose che, per decenza, non è permesso dirle in privato. 

— Che cosa si deve intendere, nel dialetto giornalistico, per «un bell'articolo?»
— Nel dialetto giornalistico, un bell'articolo è quello che piace a molti e che dispiace a moltissimi. In politica un articolo che abbia la disgrazia di piacere a tutti, non può essere mai un bell'articolo.
— Definitemi «l'articolo di fondo».
— L'articolo di fondo in molti casi si potrebbe definire come la linea in geometria; vale a dire, una lunghezza, senza larghezza e senza profondità.

Si nasce poeti, ma non c'è bisogno di nascere giornalisti. Vero è che una volta giornalisti, si muore giornalisti. Semel abbas, semper abbas (1).
Il giornalismo è la camicia di Nesso (2): una volta infilata e messa addosso, non c'è verso di levarsela più.
Un novizio che voglia dedicarsi all' arte del giornalista, bisogna prima di tutto che interroghi se stesso, per conoscere se debba arruolarsi tra i fantaccini ministeriali, o piuttosto nei cavalleggeri dell'Opposizione.

Assioma: per essere giornalista ministeriale non importa fare il panegirico del ministero regnante: basta dir male degli uomini, che probabilmente gli dovrebbero succedere.
I ministri sono bravissime persone; ma, in generale, hanno le medesime debolezze delle prime donne di teatro. Una prima donna di teatro si rassegna facilmente a non essere lodata dall'amico giornalista, a patto, che il giornalista amico qualifichi per cagne tutte le prime donne che dovranno cantare dopo di lei.
Caso poi il neofito volesse entrare nell'Opposizione, allora è un altro paio di maniche.
Tanto per dare un saggio del suo virulento linguaggio, può rifarsi subito dallo scrivere un articolo contro il Municipio. Che il Municipio se lo meriti o no, poco importa. Oramai si sa che i Municipi sono come I cani del professore Schiff (3): furono creati apposta perchè i giornalisti  novellini potessero farvi delle esperienze di stile aggressivo in anima vili.
Fatalità delle umane sorti! Il Municipio è l'unica istituzione di questo mondo, della quale, tutti ne possono dir male impunemente: tanto è vero, che ne dicono male perfino gli stessi consiglieri municipali.

L'arrivo della posta. — Il momento più solenne nella vita quotidiana del giornalista, è l'arrivo della posta.
In quel momento la sua tavola si allaga di lettere e di giornali, da doversi spogliare.
La frase «spogliare i giornali» deriva da quell'altra frase più antica che dice «spogliare i passeggieri» e significa saccheggiare un foglio politico, per portargli via le notizie più fresche e gli articoli più appetitosi. Quando si ripubblicano queste notizie e questi articoli, usa qualche volta di citare il nome del giornale svaligiato: e qualche volta no.
Nel secondo caso, i giornali che si trovano svaligiati, senza nemmeno la magra consolazione di veder citato il loro nome, mandano acutissime grida di dolore: ma i loro lamenti nella gran famiglia giornalistica destano quello stesso senso di ilarità o di compassione, che farebbero i lamenti di un povero diavolo di collegiale, che incocciasse sul serio, incontrando la ballerina rivestita e foraggiata da da lui, a braccetto per la strada con un altro!

Dopo lo spoglio dei giornali, tocca quello delle lettere.
Fra le tante lettere, ve ne hanno alcune che racchiudono un vaglia, e queste sono le migliori.
Il giornalista non si picca di avere un gusto letterario squisitissimo, e confessa candidamente che le lettere con vaglia postale le preferisce alle lettere di Cicerone e di Annibal Caro.
Vengono poi le lettere anonime, sempre spregevoli, e che il vero giornalista non legge mai, perchè sa, su per giù, quello che dicono.
Peraltro si trovano delle lettere anche più spregevoli delle anonime, e sono le lettere «non affrancate». Queste il giornalista le respinge senza pietà. L'uomo onesto si firma; l'uomo onestissimo si firma e mette il francobollo.
Fra le lettere anonime, figurano tutte quelle firmate con qualche Pseudonimo. Nel carteggio epistolare, il Pseudonimo rappresenta il coraggio della paura: è il pudore della libidine, è il ti vedo e il non ti vedo della vergognosa dipinta nel Camposanto di Pisa. I Pseudonimi possono chiamarsi gli eroi della prudenza: avrebbero da dire molte verità acerbe, dure, pungenti, ma vorrebbero che qualche giornalista compiacente mostrasse il viso per loro, e se ne facesse responsabile.
I Pseudonimi finiscono sempre le loro lettere protestando che, se si nascondono, hanno però il coraggio della propria opinione, e sarà vero: peccato, che non abbiano nessuna opinione del proprio coraggio.
Vengono da ultimo le lettere dei corrispondenti ordinari e straordinari: poi quelle degli amici, che dicono al giornalista «coraggio e avanti!», poi quelle degli invidiosi, che gridano «faresti meglio a smettere», poi quelle dei soliti lettori assidui, che hanno sempre da lamentarsi del Municipio, che dorme il sonno di Parisina (4) (com'è noto, Parisina dormiva e chiacchierava), del Governo che non governa, dei Tranvai perchè  corrono troppo, dei portalettere perchè corrono poco, dei borsaiuoli perchè fanno il loro dovere, e delle guardie di questura perchè non lo fanno.
Il giornalista, com'è naturale, non può incogliere nel suo foglio tutta quella valanga di epistole inedite, che gli casca addosso ogni mattina.
Allora che fa? Sceglie il fior fiore, e il resto lo condanna all'oblio, cacciandolo in quella paniera senza fondo, dove gli agenti delle tasse mettono a purgare i ricorsi contro la Ricchezza mMobile e la Tassa sui Fabbricati.


(1) Semel abbas, semper abbas (lat. «[chi è stato] una volta abate, [resta] sempre abate»). 
(2) Nella mitologia Greca, la Tunica di Nesso fu la tunica (chitone) avvelenata che portò alla morte di Ercole. Secondo la mitologia Greca, la tunica, contaminata dal sangue avvelenato del centauro Nesso, venne consegnata ad Ercole dalla sua ignara moglie, Deianira. Avendo indossato la tunica ed essendosi avvicinato alla fiamma di una pira funeraria, Ercole subì un bruciante dolore, causato dal riscaldamento del veleno stesso. Incapace di resistere, l'eroe e semidio si scagliò nelle fiamme della pira, per poi morire tra mille sofferenze.
(3) Moritz Schiff (Francoforte sul Meno, 28 gennaio 1823 – Ginevra, 6 ottobre 1896) è stato un fisiologo e anatomista tedesco.​ Nel 1856, a Berna, dimostrò che la rimozione sperimentale della tiroide portava a morte i cani; più tardi dimostrò che la somministrazione di estratto tiroideo nell'animale tiroidectomizzato era in grado di prevenire la morte.​
(4) Parisina d'Este (o, più comunemente, Parisina) è un'opera di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani.​ 
Parisina sonnambula, nel sonno crede di vedere Ugo e di fuggire assieme a lui. Azzo (marito di Parisinna) grida, irato, svegliando Parisina, e l'accusa di tradimento, avendola sentita nel sonno invocare il nome di Ugo. Parisina, disperatamente, ammette il suo amore per lui.


Carlo Collodi, Occhi e nasi ricordi dal vero, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1910​
 

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