San Giorgio di Donatello

La statua di San Giorgio di Donatello è un capolavoro rinascimentale che fa parte del ciclo delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze, collocate nelle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele 

Commissionata dall'Arte dei Corazzai e Spadai nel 1415-1417 e realizzata in pregiato marmo apuano, l'opera è alta 209 cm e attualmente si trova nel Museo nazionale del Bargello dal 1891, sostituita nella nicchia da una copia in marmo (Foto 2).
San Giorgio, scelto come patrono dell'Arte dei Corazzai e Spadai per la sua figura di santo guerriero, fu scolpito tra il 1415 e il 1416. La sua statua ottenne un notevole successo fin dall'inizio e continua a essere considerata una delle opere più significative del ciclo delle arti di Orsanmichele e un capolavoro di Donatello e della statuaria italiana del Quattrocento.
L'opera ricevette cure particolari nel corso del tempo, a causa del degrado causato dalla sporgenza della nicchia poco profonda e dall'esposizione a nord. Nel XIX secolo, per preservarla, fu trasferita nel tabernacolo della Madonna della Rosa e successivamente al Museo nazionale del Bargello nel 1891 (Foto 2).
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la statua fu trafugata da Poggio a Caiano (1), ma fu fortunatamente ritrovata nel 1945 e riportata in Italia. Nel 1976, fu trasferita al Bargello anche la formella della base. Attualmente, la nicchia ospita una fedele copia in marmo realizzata nel 2008 dalla Soprintendenza per il Polo museale fiorentino.
Descritto da Giosuè Carducci come "il cavalier de' santi," San Giorgio è rappresentato con armatura e scudo crociato, su richiesta degli armaioli. La statua, con un'ottima resa anatomica, trasmette un senso di fermezza morale attraverso la posizione delle gambe divaricate e il torso eretto. L'espressione intensa di San Giorgio, evidenziata dal chiaroscuro intorno agli occhi, cattura l'energia e la vitalità tipiche delle opere di Donatello.
Il tabernacolo che ospita la statua è meno profondo per contenere la scala a chiocciola che porta al piano superiore. La figura di San Giorgio è concepita con un'espressività dinamica, rivolta forse verso un nemico, conferendo alla statua un'animazione che contrasta con la sua costruzione statica. Già nel XV secolo, la statua fu considerata un modello di perfezione, elogiata per la sua fierezza e il contrasto tra la volontà d'azione e la salda fermezza dell'appoggio, come descritto da Giorgio Vasari nelle Vite.

La formella di San Giorgio che uccide il drago (3), opera di Donatello, comprende sia il rilievo nella cuspide raffigurante Dio Padre benedicente, sia il rilievo di San Giorgio alla base, come precedentemente menzionato. Quest'ultimo rilievo è universalmente riconosciuto come un esempio perfetto di stiacciato, arricchito da una delle prime rappresentazioni di prospettiva centrale a punto unico di fuga, in cui tutte le figure sono armonicamente collocate nello spazio.
La celebre formella presenta linee orizzontali che convergono verso il gruppo centrale, rappresentando san Giorgio a cavallo impegnato nella lotta contro il drago (il cavallo, elogiato anche da Vasari). A sinistra si trova la grotta, la tana del drago, ispirata dai sarcofagi romani, mentre a destra sono raffigurati la principessa e un porticato costruito in prospettiva. Se gli elementi come il mantello, l'armatura preziosa del santo e il profilo delle ali aperte del drago riflettono il gusto tardo gotico, l'aspetto innovativo risiede nella concezione dello spazio che sembra estendersi oltre la cornice del bassorilievo. Tuttavia, alcuni punti di riferimento ben definiti consentono una perfetta comprensione della spazialità.
Un altro elemento innovativo è la gestione della luce, che focalizza l'attenzione sul punto cruciale dell'azione. Questa nuova prospettiva e l'uso creativo della luce contribuiscono a conferire un notevole dinamismo alla composizione complessiva della formella di San Giorgio di Donatello.


(1) La villa Medicea di Poggio a Caiano, durante il periodo buio della Seconda Guerra Mondiale, si trasformò in una "Arca di Noè" dell'arte, offrendo rifugio a opere d'arte provenienti dal Palazzo Pretorio di Prato. Le opere trovarono riparo sia nella villa di Poggio che nelle sale del convento dei San Francesco. La villa Medicea, in particolare, fu designata dalla Soprintendenza come una delle tre "casseforti" toscane dove concentrare le opere più importanti.
Tra le opere trasferite vi erano antichi dipinti provenienti da Firenze e Pistoia, l'intera galleria di Palazzo Pitti, il San Giorgio di Donatello, i Quattro Mori di Livorno, le statue della Sagrestia Nuova di Michelangelo e quella equestre di Cosimo I de' Medici, che, in un curioso gioco del destino, era tornata a casa. Nella sala del biliardo, trovò rifugio anche la Primavera del Botticelli, prima di essere trasferita nella Val di Pesa.

La formella sopra è quella non originale, quella sotto è l'originale.

L'immagine di copertina è stata creata con AI


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