Il Grillo fiorentino alle Cascine
Il grillo è un animaletto grazioso e innocuo che per motivi non conosciuti gode di un culto speciale a Firenze, nel giorno dell'Ascensione.
Il culto è un modo come un altro per levarne di mezzo numerose migliaia.
In ogni modo, la mattina dell'Ascensione, il fiorentino osservante le tradizioni prende seco la moglie, i ragazzi, le figliuole, gli amici e se ne va alle Cascine «a levare il grillo».
Chi voglia fare le cose con coscienza, deve alzarsi presto, trovarsi su un prato qualunque delle Cascine possibilmente prima che sorga il sole, e mettersi seriamente a cercare fra l'erba un buco di grillo: se lo trova — che non è facile — gli resta da fare un'altra operazione alquanto più difficile: trovare il grillo... acchiapparlo e metterlo in gabbietta. Ma dei fiorentini coscienziosi, non credo che ce ne siano più - nei riguardi del grillo, s'intende: e la popolazione che va alle Cascine per fare una passeggiata e una colazione all'aria aperta, la mattina dell'Ascensione, ha riconosciuto da secoli che è molto più semplice comprare i grilli bell'e presi e ingabbiati. Per questo, ci sono diversi «industriali» del grillo: quello che li trova, quello che fabbrica le gabbie, e quello che vende «il vero grillo canterino» nella sua gabbiuzza. Lo sviluppo di questa complessa industria che si esaurisce in un giorno all'anno, fa sì che il giorno dell'Ascensione non si trova in tutti i prati delle Cascine un grillo in libertà, neanche a perderci tutta la giornata.
C'è chi dice — perchè sono stati tutti raccolti nei giorni precedenti: c'è chi sostiene — perchè non ce ne sono mai stati, attesoché i grilli che si trovano in commercio vengono dalle campagne vicine. Fatto sta che ora nessuno cerca sul serio mi grillo nell'erba: e se avviene di scorgere numerose e allegre brigate di ragazze e di giovanotti sedersi sui prati e divertirsi a camminare a quattro zampe cercando in terra dei buchi che non ci sono, potete star certi che cercano — e magari trovano — vane altre cose, ma non un grillo. Il quale può sempre essere comprato da uno degli innumerevoli venditori che portano, a un palo irto di chiodi o di ramificazioni, appese le gabbiette col relativo animale.
L'animale è un presunto grillo, ma di solito è un autentico grillo: qualche volta, dei venditori maliziosi mettono nelle gabbie fra alcune foglie di erba un animale nero, che possono vendere a un acquirente, forestiero o semplicemente poco pratico, per un grillo. E' spesso uno scarafaggio (che a Firenze si chiama piàttola): e l'errore è l'occasione di salaci burle quando dagli amici o dagli intenditori viene scoperto.
Perchè scambiare uno scarafaggio per un grillo è veramente imperdonabile : ma siccome, in una città specialmente, sono innumerevoli le persone che non hanno mai visto nè l'uno nè l'altro, l'errore sebbene sempliciotto non è raro. Non so, del resto, se la Camera di Commercio abbia mai pensato a verificare che gli insetti in vendita come grilli. Ma non è tutto: il grillo deve essere «canterino»: cioè fare cri-cri-cri. Ora perchè sia canterino, bisogna che sia un maschio.
Riconoscere un maschio da una femmina è meno facile: ma insomma non richiede un miracolo di osservazione: i maschi hanno le ali e le elitre ben sviluppate, le femmine le hanno atrofiche.
I grilli maschi volano e saltano le femmine no. Va bene. Ma siccome nelle gabbie non volano e non saltano... il miglior sistema per sapere di che sesso siano è quello di domandarlo al venditore e rimettersi alla sua onestà. Dopo tutto, se quello che comprate non è un maschio, potete star certi che è una femmina — e questo, trattandosi di un insetto, è già qualcosa. Se si trattasse di api, per esempio, ci sarebbe anche il caso di trovarsi per le mani «un'operaia». (Non ci mancherebbe altro!). Comunque bisogna rassegnarsi ad aspettare la sera per sapere, se l'animaletto nella sua piccola prigione appesa alla finestra o posata sul balcone, farà cri-cri, chè è un maschio.
In ogni modo lo farà triste, perchè questo canto esile e stridulo che i maschi producono agitando e sfregando le elitre è, quando son liberi, il loro modo di dire alle femmine appiattate fra l'erbe o nei buchi: «ecco, io avrei voglia di fare un po' all'amore». E cantano nottate intere, nei prati e nei campi, cantano insistenti o disperati, stizzosi o elegiaci, ostinati o incalzanti; e le femmine se ne stanno chete nel buio ad ascoltare... e a scegliere: quando alla voce han riconosciuto l'anima gemella, o forse l'accento di una virile e promettente gagliardia, si avviano camminando verso quella voce lontana nell'erba, trillante sotto le stelle, in una serenata instancabile.
Quando l'hanno raggiunta, il cri-cri-cri frettoloso come un grido, già risoluto come un invito un po' prepotente si fa più lento, più calmo, più languido: cri., cri... cri.... I trilli sono un po' più lenti e interrotti da pause più lunghe, sulle quali l'ombra benigna delle notti serene stende il suo velo di verecondia.
L'amore dei grilli è gentilmente poetico: e forse per questo l'animaletto nero è considerato come propiziatorio all'amore delle fanciulle e dei giovani, nelle tepide mattinate del maggio fiorentino: piccolo messaggero di fortuna e di poesia, minuscolo e discreto incitatore al canto e alla carezza, libero cantore di primavera.
Forse per quest'aura di lirismo che è intorno al grillo, esso è pei fiorentini — e per le fiorentine — un amabile pretesto... per andare alle Cascine a far merenda sull'erba.
Se il tempo è bello, le Cascine sono un incanto di tepore, di profumo, di luce sotto il verde tenero degli alberi rinnovellati di novella fronda; sembrano il bosco della Primavera. Per chi non le conosce mette conto di parlarne. Esse occupano dalla parte occidentale di Firenze un lungo triangolo che ha il suo vertice alla confluenza dell'Arno e del Mugnone: e formano un delta piano, coperto di boschi di lecci, platani, frassini, olivi, quercie e pioppi, intramezzati da quattro o cinque giardini, da due immense praterie, e attraversati in lunghezza da tre viali principali e da cento altri secondarli, che fan capo a tre piazzali: uno alla base del triangolo, due a metà della sua altezza.
Le Cascine erano anticamente assai più grandi, ma lo sviluppo della città dopo che furono abbattute le vecchie mura (arrivavano circa all'altezza della Pescaia, alla cosiddetta Porticciola) obbligò a distruggerne una parte per fabbricarvi quel bellissimo quartiere moderno del Prato, sorto quando Firenze era capitale e intersecato da vie recanti i nomi delle battaglie dell'indipendenza: Solferino, Magenta, Montebello. L'ingresso principale alle Cascine è su una piazza detta degli Zuavi, in memoria di una divisione dell'esercito liberatore di Francia passata di là nel '59.
Il parco si andò formando a poco a poco e probabilmente ha origine alluvionale (si è accresciuto infatti in questi ultimi anni di uno splendido viale lungo l'Arno, dal Piazzale della Regina all'Indiano, formato da scarichi e terrapieni sulla base dei depositi del fiume) e fece parte della proprietà dei Granduchi medicei e lorenesi; da questi fu poi ceduto allo Stato, ma i sovrani e i governi che si succedettero ebbero tutti uguale cura di accrescere, di conservare e di abbellire il bosco che è anche oggi fra i meglio tenuti d'Italia, e fra i più italiani. Gli alberi, gli arbusti, le aiuole di piantine ornamentali e di fiori vi sono curati e custoditi con amore e con un senso di libertà vegetale che nei parchi di stile forestiero è di solito costretta in forme geometriche o architettoniche.
Tranne qualche siepe e qualche spalliera necessariamente tosata a superfici piane, gli alberi sono tutti liberamente coltivati e potati, e non si sognano di essere e di parere altro che alberi, altissimi, fieri, frondosi, contorti quasi in una gara di ascesa verso il sole, coperti di muschi, di edere e di borraccine e nella parte più folta circondati da arbusti, da lauri, da felci.
Ci sono degli alberi celebri, alle Cascine. Il famoso «quercione» piantato in mezzo al gran prato oltre il Piazzale del Re, è da pochi anni defunto, ma è sempre in piedi: è ormai un rudero d'albero che cadrà a pezzi e marcirà, ma si conserva come un monumento: è enorme, e deve essere morto nella tenera età di tre o quattro secoli. A pochi metri da lui, prospera, vegeta e cresce un'altra quercia, forse rampollata da qualche propaggine sua, che promette di diventare il suo degno successore dedicato all'ammirazione di altre cinquanta generazioni di ragazzi.
Il quercione avea un tronco così grosso che ci volevano due uomini per abbracciarlo: e la malizia fiorentina lo prendeva per termine di paragone per designare le signore troppo pingui — forse pensando che fossero troppo abbondanti per un uomo solo....
I magnifici lecci che sono nel bosco dalla parte del viale della Regina (quello lungo l'Arno, in pieno sole, per le passeggiate d'inverno) hanno una cosi vasta chioma che attraversano tutto il viale, e sembrano cupole aeree non sostenute da nulla.
Alle Cascine vi sono diversi edifici, fra i quali il più importante è il Palazzo — sul Piazzale del Re, dove fu un caffè fino a pochi anni fa, e ora credo si voglia fare una bgalleria di quadri moderni. Fu edificato per padiglione di rifugio e per casino di campagna dal Granduca nel 1791: ed ha servito spesso per feste da ballo, e particolarmente per il festino annuale che la Corte vi dava il giorno dell'Ascensione.
L'ultimo suo fasto principesco risale alle nozze di Umberto e Margherita di Savoia, che vi fecero, venendo sposi da Torino, una tappa prima di entrare — giovani radiose speranze dell'Italia nuova — in un trionfo di fiori e di acclamazioni, in Firenze capitale, nel 1868. Il palazzo e le Cascine appartenevano già allora al Comune di Firenze. Sparsi nel bosco, sono altri edifizi rustici e piccoli monumenti e ornamenti e fonti. Vi sono le «pavoniere», graziosi padiglioni, ora incorporati nel giardino della Scuola di Pomologia e Orticoltura, istituzione ottima che forma i giardinieri, i frutticultori e gli orticultori più preziosi all'ingegnosa agricoltura dei dintorni di Firenze.
Vi è, deposito di attrezzi e utensili, ora, la Ghiacciaia, che ha — non saprei per quale capriccio di fantasia — la nobile e severa forma a della piramide: nessun Faraone vi dorme il sonno eterno, sotto. Ma non manca memoria di qualcosa di simile, alle Cascine.
All'estremo lembo di terra del parco, fra le due acque che si confondono, del Mugnone e dell'Arno, un monumento in stile indiano ricorda il Principe — anzi il Maharajah di Kolapore, Chuttraputti, che morì Firenze, di mal di petto, nel ed ivi fu arso su un rogo di legni resinosi, secondo il rito di Brahma. Perciò la località si chiama l'Indiano; e il grazioso tabernacolo difende dai raggi del sole e dalle acque piovane il busto policromo del bellissimo principe.
A metà del viale del Re, in un piazzaletto circondato da panchine di pietra, sacre alle confidenze (direbbe Vamba) di Marte coscritto e di Venere domestica, l'antica grazia della fantasia bucolica di non so quale artista e l'idea di consacrare una fontanella modestissima (munita, quando ero bimbo, di una pompa che faceva la mia gioia ginnastica, in quell'epoca non ancora sportiva della vita giovanile italiana) a Narciso. Si chiama difatti la fonte di Narciso — e si compone di un bacino attaccato a un tronco di piramide in pietra serena, che dissimulava l'antiestetico «movimento» della pompa. Non ha nulla di particolare, tranne questi quattro versi di limpida grazia ovidiana, che mi echeggiano ancora nella memoria:
Eterno monumento in questo loco
generosa pietà fonda a Narciso
che vagheggiando al fonte il proprio viso
mori consunto d'amoroso fuoco. (1)
Altrove, dietro il prato del Quercione, sul lato di un viale detto ancora del Pegaso, c'è una colonna sulla quale esisteva un cavallo alato — Pègaso — che mi pare sia andato a finire in una galleria di Firenze.
Doveva far parte di un progetto di decorazione mitologica e fantastica delle Cascine — decorazione ideata non so da chi, della quale rimangono poche traccie, ignorate e non osservate dalla maggior parte dei fiorentini stessi e intorno alle quali non è facile trovar notizie.
Ricordano questo progetto incompiuto di ornamentazione, le due splendide tigri che sono ai lati del viale del Re sul piazzale omonimo: scolpite in pietra con rara maestria e singolare energia: immagini di un tardo Rinascimento, dell'epoca che chiamerei neo-alessandrina, che nell'evoluzione della scultura occidentale segna l'ultima fase: quella dell'assunzione delle forme animali ad argomento di pompose e fastose e bizzarre decorazioni, per lo più, di giardini, di parchi, di ville, di cancelli. Le Cascine sono un monumento naturale, un'opera d'arte boschereccia e floreale, e non conservano dell'antica pastura e della latteria originarie, oltre il nome, che i bassorilievi di soggetto, come dire?, cascinale che sono sul fronte del Palazzo.
Un tempo, la mattina della Ascensione, il popolo fiorentino vi andava a bere un bicchiere di squisitissimo latte per due crazie: e il Granduca stesso non mancava mai a questa modesta cerimonia di gustosa semplicità pastorale, con la quale si iniziava la baldoria del grillo, e si predisponeva il ghiotto palato fiorentino a gustare, dopo qualche ora, il tradizionale «agnello coi piselli » cotto nel tegame sul fuoco di improvvisati fornelli o il pollo arrostito sulle fiamme dei falò accesi sui prati.
Oggi la festa del grillo si è incivilita: ha perso molto del suo carattere popolaresco, bonario, gaio, ma conserva ancora molti suoi seguaci.
E la consuetudine di una passeggiata mattutina rimane per svago dei cittadini e per curiosità dei forestieri.
Ma è ormai una curiosità che si fa per chi vede: e si sostiene, quasi direi, per onor di firma, come una costumanza di cui va scomparendo nell'animo moderno sempre meno pastorale il gusto e il divertimento.
Non è tuttavia improbabile che, dopo la burrasca, tornato il sereno anche gli animi torneranno a quel tanto che avevan di buono, di amabile, di gentile e di igienico i tempi passati, il bel tempo di già. Ci sono dipure tornati per quel che i tempi andati ebbero di più fosco e di più feroce!
I toscani residenti a Milano hanno importato l'anno scorso la festa tradizionale delle Cascine nel Parco di Monza. Nostalgie di gaie costumanze...
Non so, nè sono riuscito a stabilire quale rapporto ragionevole ci sia fra il grillo e la pia commemorazione dell'Ascensione di Gesù. Misteri dell'animo bisogna approfondire.
Forse la più vera e originale caratteristica di questa singolare coincidenza di cerimonia popolare e di ricorrenza religiosa consiste in questo: che non hanno fra loro nessun rapporto ragionevole.
E in questo consiste pure il divertimento!
MARIO FERRIGNI.
Mario Ferrigni, Touring club italiano, Rivista mensile del touring club ciclistico italiano, Milano, 1895
Mario Ferrigni (Firenze, 23 settembre 1878 – Roma, 14 maggio 1943) è stato un giornalista, critico d'arte e drammaturgo italiano. Era figlio di Pietro Ferrigni meglio conosciuto con lo pseudonimo di Yorick figlio di Yorick, omaggio al personaggio alter ego di Laurence Sterne, che usava firmarsi Yorick.​
(1) Fontana del Narciso realizzata nel 1971 dall'architetto Giuseppe Manetti e famosa sopratutto perché, seduto su quest'opera, il poeta Percy Bisshe Shellelley compose la bellissima poesia “Ode al Vento dell'Ovest”.
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Il 11 agosto 1289, il popolo fiorentino approvò il decreto dei priori delle arti abolendo la schiavitù della gleba.
Quando l'Arno gelò a tal punto che i Fiorentini riuscirono ad organizzarvi un corteo di maschere su slitte, e addirittura una Giostra del Saraceno!
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