Le schiave orientali a Firenze nei secoli XIV e XV
Il 11 agosto 1289, il popolo fiorentino, riunito nella Chiesa di S. Pietro in Scheraggio (1), votò all'unanimità l'approvazione del decreto dei priori delle arti. Questo decreto proibiva categoricamente a qualsiasi cittadino, indipendentemente dalla sua posizione sociale o dignità, di comprare o vendere uomini di masnada, fedeli coloni perpetui o condizionali, ascrittizi o censiti, o altri di qualsiasi condizione, a tempo o in perpetuità. Oltre a ciò, aboliva qualsiasi diritto di angheria contro la libertà e lo stato delle persone nella città, nel contado e nel distretto. La violazione di questa disposizione comportava l'annullamento immediato di qualsiasi contratto contrario, oppure una multa di mille piccoli fiorini a carico di compratori, venditori, procuratori, notai e testimoni. Inoltre, si riservava al solo comune di Firenze il diritto di acquistare uomini e proprietà.
Con questa legge, che segnava l'abolizione della schiavitù della gleba, la Repubblica Fiorentina mirava a neutralizzare le potenziali minacce provenienti da un nemico interno, che, sebbene sconfitto più volte, restava comunque una presenza formidabile. Nonostante la vittoria dei Guelfi sulla battaglia di Campaldino (2), che aveva assicurato a Firenze la supremazia politica in Toscana, la prosperità civile e commerciale della città, e la sua reputazione come una delle più potenti e piacevoli, coesistevano con motivi di preoccupazione. Il trionfo della democrazia fiorentina non era privo di gravi pericoli, specialmente a causa della potente presenza dei nobili nel contado.
Per affrontare questa minaccia, la Repubblica decise di colpire le radici del potere dei nobili nel contado, dove avevano vassalli e coloni a sostegno. La legge dell'agosto 1289 dichiarò liberi i coloni, liberandoli da ogni vincolo di servitù nei confronti dei nobili feudatari. Questo indebolì la posizione dei nobili, privandoli del sostegno coatto dei coloni, mentre offriva agli stessi coloni l'opportunità di trasferirsi in città, trasferendo così il potere nelle mani del popolo.
Sebbene i nobili cercassero di opporsi alla legge, costringendo i contadini a sottoscrivere falsi contratti di fedeltà e servitù, la forza della libertà e l'energia della repubblica alla fine prevalsero. La legge ebbe un impatto significativo nel rendere liberi i coloni, trasformando radicalmente la condizione del contado e del distretto di Firenze. La schiavitù della gleba, che molte città italiane avevano già affrontato con leggi simili nel XIII secolo, cessò anche a Firenze grazie a questa importante legislazione.
Le leggi promulgate da Firenze seguivano un cammino tracciato dalle città italiane simili, rappresentando una conquista preziosa per la storia della civiltà e un vanto per i comuni italiani. La legge dell'agosto 1289, in particolare, si distingueva per il suo carattere eminentemente sociale, andando oltre le considerazioni politiche contingenti e affermandosi come una risposta alle esigenze della società.
Alcuni studiosi, tuttavia, espressero un'opinione divergente, sostenendo che la legge di Firenze non garantiva immediatamente la libertà dei servi, ma piuttosto favoriva il loro graduale affrancamento.
Sottolineò anche che la mancanza di citazioni da parte di storici dell'epoca potrebbe riflettere la lentezza nell'effettuare cambiamenti significativi. Mentre alcune delle sue osservazioni potrebbero avere fondamento, è importante riconoscere l'importanza della legge nell'affrontare le sfide sociali del tempo.
I
Nel suo studio sulle schiave orientali in Italia, Bongi (3) fa risalire al 1350 l'apparizione in Toscana di queste sventurate fanciulle, attribuendola a una delle numerose conseguenze della peste del 1348. Egli afferma che a causa della significativa mortalità nelle plebi cittadine e nei villaggi, furono necessari nuovi e più ampi accordi per i lavoratori, i fittuari e i livellari. Il basso salario non era sufficiente a convincere le classi popolari a offrire anche domestici e serve, così si dovette ricorrere al commercio esterno per supplire alla loro scarsità. I navigatori trovarono quindi opportuno incrementare le tratte dalle regioni orientali. Questa necessità potrebbe aver contribuito al fatto che i nostri antenati non valutarono a pieno la bruttezza e i danni di accogliere in casa loro ospiti così diversi e di diventare custodi di schiavi. Pur riconoscendo il valore delle argomentazioni dell'erudito toscano, riteniamo che non spieghino sufficientemente il fenomeno oggetto della nostra analisi. Il vuoto lasciato a Firenze dalla peste del 1348, i cambiamenti nei costumi e le difficoltà nel reperire domestici nella plebe cittadina, insieme alle trasformazioni provocate dalla peste nella vita cittadina, sono sicuramente stimoli significativi per il traffico di schiave su vasta scala. Tuttavia, per comprendere appieno il fenomeno, riteniamo necessario risalire a periodi precedenti e esaminare alcuni fatti che spiegheranno non solo l'origine, ma anche
l'incremento e la diffusione del traffico stesso. Alcuni di questi fatti, ai quali rivolgiamo ora la nostra attenzione, includono:
le relazioni commerciali di Firenze con il Levante; la persistenza di certi pregiudizi civili e religiosi; il profondo mutamento che si stava verificando nel XIV e XV secolo in tutta la società, soprattutto nelle famiglie.
II
Se la storia politica interna di Firenze si presenta con sempre nuovi e più importanti caratteri allo studioso, altrettanto interessante è la storia delle relazioni commerciali della città nel Medioevo, sia con l'Occidente che con l'Oriente. Il popolo fiorentino, noto per la sua ampia e duratura democrazia negli affari politici e per l'elevata cultura nelle lettere e nelle arti, dimostrò nella vita quotidiana di essere anche il mercante più attivo e astuto del medioevo. Orientato al commercio dalla natura del territorio che abitava, capì che la forza e la ricchezza potevano derivare dall'incremento e dalla diffusione dei prodotti delle sue industrie. La storia del commercio fiorentino diventa così la storia stessa della potenza civile e politica della repubblica fiorentina. Mentre le varie arti si organizzavano in potenti associazioni a Firenze e assumevano gradualmente il controllo della cosa pubblica, la città affrontava con costanza ed energia gli ostacoli alla sua esportazione, provocati dalla vicinanza di città rivali e dalla mancanza di un proprio naviglio e di un porto marittimo. I prodotti delle arti fiorentine conquistarono le piazze principali mercantili dell'Occidente, portando una prosperità crescente a Firenze.
L'orientamento principale del commercio di quei tempi era comunque l'Oriente, che rimase la fonte più importante di ricchezza per l'Italia. La Tana (4) e Caffa (5), posti all'imboccatura del Tanais e vicini a Russia, Armenia, Persia e Arabia, erano i luoghi di incontro naturali per i mercanti di quelle regioni, offrendo loro i prodotti delle loro terre da esportare ai coloni italiani. In questo contesto, la Tana e Gaffa diventarono anche il fulcro di un attivo traffico di schiavi. Heyd, inoltre, racconta che nei dintorni di Caffa vivevano i Tartari, alleati dei cristiani contro i mussulmani. Solgat, la loro capitale, aveva relazioni frequenti con Caffa, occupata in gran parte dai Genovesi. Nonostante la difesa accordata dal Vescovo di Caffa, i Tartari contribuirono notevolmente al traffico degli schiavi. Gli inviati del Soldano d'Egitto andavano lì per fare razzie di sventurati destinati ad arricchire gli harem del Soldano o a rafforzare l'esercito se maschi. I mercanti di Caffa stessi partecipavano attivamente al traffico, rapendo i Tartari dai loro insediamenti e portandoli al Soldano. Ottennero persino il libero passaggio del Bosforo per i loro agenti, che si dirigevano nei paesi circostanti per acquistare schiavi, successivamente rivenduti a Caffa.
Gli schiavi venivano anche importati da paesi nordici e regioni circostanti, come Circassia, Georgia, Armenia, Arabia, Turchia e Russia. Le conseguenze di questo traffico attivo erano evidenti, con Genovesi, Pisani, Veneziani e infine Fiorentini che partecipavano al commercio di schiavi. Venezia, in particolare, forniva il maggior numero di schiavi a Firenze e ad altre città italiane. In tali circostanze, come potevano resistere i Fiorentini? Essendo mercanti attivi e astuti, non potevano ignorare la tentazione così seducente, soprattutto osservando il commercio praticato dalle città connazionali. Inoltre, i pregiudizi civili e religiosi, insieme alle condizioni familiari e sociali, contribuivano a dissolvere qualsiasi nube di rimorso e a superare qualsiasi riluttanza. Potevano contare sul fatto che, come a Genova (6), Pisa (7), Venezia (8) e Lucca (9), le schiave avrebbero ricevuto un'accoglienza calorosa dai cittadini fiorentini, e presto il loro utilizzo sarebbe diventato parte integrante delle abitudini della città e della società fiorentina.
III
L'esecuzione della legge dell'agosto 1289, sebbene inevitabile, non fu immediata. La reazione nobiliare trovò sostegno nell'inerzia di molti contadini e in un difetto intrinseco della legge stessa. Dal 1289 al 1350, periodo che considereremo come punto di partenza per la nostra analisi, le tracce di quell'istituzione condannata dal popolo fiorentino non si persero del tutto. Molti coloni trasferitisi in città agirono temporaneamente come servi presso i loro ex padroni, creando così un anello di congiunzione tra il colonato abolito e il nuovo sistema che prendeva forma a Firenze.
Un elemento chiave di questa transizione sembra essere stato il pregiudizio religioso. Gli infedeli e gli ebrei erano già esclusi dai benefici della legge del 1289, e questa esclusione persisteva tra i fiorentini e, possiamo affermarlo con sicurezza, tra gli italiani. Sorge la domanda: perché non estendere questa esclusione anche agli schiavi appena arrivati dall'Oriente? Erano infedeli, in gran parte seguaci della religione maomettana o addirittura pagani. Non sarebbe stato logico estendere questa esclusione, soprattutto considerando quanto fosse conveniente? Le testimonianze convergenti di molti contemporanei confermano che questa era la tendenza del periodo.
Il pensiero comune dell'epoca giustificava senza esitazioni il traffico di schiavi infedeli. Si riteneva che non la natura, ma la religione, mettesse gli uomini al di sopra degli animali e delle cose. In una distorsione mostruosa della religione nella politica, si sosteneva che il peccato originale annullasse la libertà naturale dell'uomo, rendendo così la schiavitù una giusta condanna per gli infedeli. Questa mentalità emerge chiaramente dalle parole di Sacchetti (10), novelliere fiorentino del 1370, che sosteneva la legittimità di comprare e vendere schiavi cristiani convertiti provenienti da parti infedeli. Questa visione era condivisa anche da teologi come l'Arcivescovo Antonino di Firenze (11) e persino da un papa, Celestino V (12).
Se esaminiamo attentamente le opinioni dei teologi, come sottolineato da Bongi, notiamo che, dove il concetto religioso poteva essere percepito come minacciato, le massime dei giuristi non erano più rigorose. Anche il giureconsulto Marquado Susanna (13) sosteneva che il battesimo non conferiva la libertà, poiché la schiavitù era stata istituita per diritto divino, diritto naturale e diritto canonico. In un momento successivo, si giunse persino a considerare un'opera pia il condurre schiavi, poiché si credeva migliorasse la loro condizione.
Letterati, teologi e giuristi concordavano nel riconoscere la legittimità del traffico di schiavi orientali. Queste opinioni non erano isolate, ma riflettevano un pensiero comune, ben radicato e già sanzionato dalla legge. Nel 1363, una disposizione legale confermò la legalità di condurre schiavi non appartenenti alla fede cristiana a Firenze, consentendone la detenzione, vendita, donazione o alienazione. Nel 1366, i priori presentarono una legge che costituiva la base giuridica della condizione degli schiavi a Firenze, confermando così l'armonia tra il pensiero degli scrittori e quello dei legislatori.
È importante notare che le testimonianze e i giudizi riportati sono successivi al 1350, e potrebbero essere interpretati come spiegazioni della rapida diffusione del traffico degli schiavi piuttosto che come cause della sua introduzione. Tuttavia, queste testimonianze riflettono fedelmente i sentimenti popolari, che non potevano sorgere repentinamente, ma erano il risultato di una rivoluzione iniziata nei primi anni del 1300 nella società e nelle famiglie.
Nel periodo a cui ci riferiamo, l'epoca epica della repubblica fiorentina si era conclusa. Dopo l'eloquente invettiva di Dante, molti avvenimenti erano già accaduti, altri erano in corso, dai quali si poteva dedurre che, nonostante lo splendore delle arti e un fiorente commercio, il sentimento di libertà si era affievolito, le istituzioni politiche erano in declino, e inevitabilmente si stava dirigendo verso la perdita della libertà. Dopo una serie continua di riforme politiche, che avevano portato a un restringimento delle istituzioni democratiche, Firenze aveva sperimentato anche la tirannia del Duca d'Atene. Sebbene il popolo avesse rapidamente rovesciato questo regime, trent'anni dopo, durante l'insurrezione dei Ciompi contro la borghesia benestante, si intravedeva già la futura signoria dei Medici tra le agitazioni di quei tempi.
La decadenza delle istituzioni politiche trovava giustificazione nella generale decadenza che inevitabilmente coinvolgeva il mondo medievale. La sintesi medievale si stava frammentando, e mentre il mondo antico risorgeva tra le rovine di quello in declino, la rivoluzione degli spiriti portava a un'ansiosa oscillazione tra le tendenze dei due mondi. Questo periodo di transizione inevitabilmente conduceva a una corruzione dei costumi, presente già prima del 1350. La famiglia era particolarmente vulnerabile agli effetti di questa corruzione, subendo danni considerevoli a causa della presenza delle schiave a Firenze.
Esamineremo in breve le condizioni e le circostanze di questa famiglia.
La costituzione della famiglia italiana nel Medioevo è il risultato della fusione di due elementi opposti: il germanico e il romano. Secondo Villari (3), la famiglia romana aveva il suo fondamento nel dispotismo paterno, mentre la famiglia germanica si basava sui legami di sangue e sull'attitudine alle armi. La famiglia italiana, invece, trovò la sua base nella prevalenza degli agnati (4) e nella solidarietà dei suoi membri, che formavano una delle numerose associazioni autonome nello stato. L'unità della famiglia era forte soprattutto per motivi politici ed economici, piuttosto che per la sua struttura giuridica. Tutti gli interessi familiari venivano gestiti collettivamente, e nella lotta costante con i vicini, gli affetti familiari si intensificavano. La base della famiglia medievale era quindi soprattutto politica, dipendendo da caste, consorterie e fazioni; l'amore aveva un ruolo marginale. Nel corso del tempo, con la scomparsa delle antiche ragioni di coesione familiare legate alle fazioni e alle caste, la famiglia si trovò scossa nelle sue basi. In una società in cui dominava l'individualismo, la famiglia si disorganizzò completamente. La situazione peggiorò ulteriormente nel XIV secolo e nel XV secolo, quando l'amore, privo degli affetti familiari, prese strade strane e antinaturali.
Leggendo le lettere di Alessandra Strozzi, possiamo comprendere come alcune famiglie, nonostante la corruzione prevalente, riuscissero a sfuggire a questo elemento negativo. Tuttavia, anche in queste famiglie, le schiave entrarono e iniziarono a esercitare la loro influenza, poiché erano ormai considerate necessarie per la società dell'epoca.
Tratto da Agostino Zanelli, Le schiave orientali a Firenze nei secoli XIV e XV, Firenze, E. Loeschner, 1885.
(1) La Chiesa di San Pietro in Scheraggio è menzionata come il luogo in cui il popolo fiorentino si è riunito il 11 agosto 1289 per votare sull'approvazione del decreto dei priori delle arti.
(2) La battaglia di Campaldino è menzionata come un evento chiave in cui i Guelfi hanno ottenuto la vittoria, assicurando a Firenze la supremazia politica in Toscana.
(3) Salvatore Bongi (Lucca, 15 gennaio 1825 – Lucca, 30 dicembre 1899) è stato uno storico, bibliografo e archivista italiano.
(4) Tana è situata all’imboccatura del Tanais, vicino a Russia, Armenia, Persia e Arabia, Tana era un luogo di incontro naturale per i mercanti di quelle regioni.
(5) Caffa diventò il fulcro di un attivo traffico di schiavi. I mercanti di Caffa partecipavano attivamente al traffico, rapendo i Tartari dai loro insediamenti e portandoli al Soldano.
(6) Genova è una delle città che partecipavano attivamente al commercio di schiavi. I mercanti genovesi erano noti per la loro partecipazione al traffico di schiavi.
(7) Pisa come Genova partecipava al commercio di schiavi. I mercanti pisani erano noti per la loro partecipazione a questo commercio.
(8) Venezia forniva il maggior numero di schiavi a Firenze e ad altre città italiane.
(9) Lucca partecipava al commercio di schiavi. I mercanti lucchesi erano noti per la loro partecipazione a questo commercio.
(10) Franco Sacchetti, un noto novelliere e poeta italiano del XIV secolo che sosteneva la legittimità di comprare e vendere schiavi cristiani convertiti provenienti da parti infedeli.
(11) Arcivescovo Antonino di Firenze: Si riferisce a Sant’Antonino Pierozzi, noto anche come Antonino da Firenze. Era un teologo, arcivescovo cattolico e letterato italiano; appartenne all’ordine dei frati predicatori, fu arcivescovo di Firenze e studioso nei ranghi della tarda scolastica.
(12) Celestino V, al secolo Pietro Angeleri, detto Pietro del Morrone, è stato il 192º vescovo di Roma e papa italiano dal 29 agosto al 13 dicembre 1294.
(13) Marquardo Susanna, latinizzato come Marquardus de Susannis, è stato un giurista e avvocato italiano del XVI secolo, cittadino della Repubblica di Venezia1. Nacque a Udine intorno al 1500.
Le foto dell’800 e del '900 documentano un tempo vicino ma lontano, segnando la fine di un’era e l’inizio di un mondo nuovo.
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