Disavventure poetiche

Disavventure poetiche 

Paolo Micks (o Mix), Trieste il 5/2/1899 - Pescara il 2/081976
 

Tutte le sere lì buon Nicodemo, antiquario e placidissimo filosofante, esce per la consueta passeggiatine. Chiude la bottega e savvia leggero leggero verso il lungarno, con quella nobiltà che ogni uomo manifesta se compie un'azione per se stessa, o,  come si dice altrimenti, inutile. 
Non è a descriversi la sua soddisfazione quando, scantonata  la Via Por Santa Maria, riesce nel lungarno e scorge, sempre più distinte, le due figure marmoree a capo del ponte di S. Trinità, che contro l'incendio del tramonto si profilano nitidissime. 
Soltanto allora gii pare di poter rifiatare a suo agio; e vedendo il cielo più aperto e non sforbiciato dai tetti, occhi e polmoni insieme gli si spalancano (salvo che non capiti qualche automobile). 
Chi direbbe che quella faccia bonacciona, un Petrarca bassotto, col cappello di paglia, la virginia e le scarpe di tela, nasconda un'anima poetica e tutta sensibile? 
L'altra domenica, all'ora consueta, eccolo dirigersi al suo lungarno; ed era una serata limpida e quieta, come stanca dell'azzurro del giorno.  Per prima cosa attirò la sua attenzione un gatto soriano che placidamente dormiva sul vano d'una finestra; e si fermò ad accarezzarlo. 
Quello aprì gli occhi lentissimo, poi si rizzò sulle zampe e levò una gobba magistrale. Però rientrato in se stesso, e come  dolendosi dell'importuno richiamo alla realtà, schiuse le fauci per miagolare. Gli mancava il fiato, si vede, perchè non emise suono di sorta, dando così a quell'atto un valore puramente simbolico. 
Rifiutò quindi ogni carezza consolatoria e, dopo una prudente occhiata circolare alla strada, se n'andò via sdegnoso a coda ritta. 
Dopo quest'infelice approccio con un rappresentante degli esseri animati, Nicodemo sperò nello spettacolo della natura. Ma neanche a farlo apposta, quella sera il soie aveva combinato, in proprio onore, un arco di trionfo per i colori e le gradazioni di un gusto così volgare, che tutti i lampioni accesi a collana lungo la spalletta, contrastando con la loro candidezza, si misero a  fischiare indignati. 
Il nostro Nicodemo ne fu afflittissimo, come uomo di buongusto ch'egli era; capitò, c'era da aspettarselo, che gli venne la malinconia complicata da un attacco di pensieri metafìsici. 
Non poteva neanche sfogarsi con qualche semplice compagno, dicendogli, per esempio, che se un pittore avesse dipinto a quel modo, nessuno gli avrebbe creduto, o un'altra a scelta di quelle deliziose banalità che, fatte prender sul serio, ristorano come uno sbadiglio, fanno riavere. 
E poi, decisamente quei festoni di rosso vinoso, da toreador, e tutta quella nuvolaglia barocca, ahimè, era uno spettacolo indecente. 
Ogni cosa diventava irreale: irreale specialmente e fantastico Io sfondo del tramonto e le Cascine, talché il nostro amico ci vedeva accanto la scritta: Un saluto da Firenze. E quella luna, da una parte, così leggera, patita, trasparente, faceva di tutto per farsi credere vera e reale, ma senza convinzione neanche lei. 
Il nostro povero Nicodemo, giunto alle Cascine ch'era già buio, cominciò a dubitare di non esistere, in modo assoluto, più di quegli ometti che si vedono appena nelle cartoline illustrate. 
— Se ci mancasse l'indirizzo ? — disse ad un tratto, senza accorgersene, a voce alta. 
E un ragazzo, che gli passava accanto, si scostò di colpo e scappò via tutto impaurito. 


Tratto da Paolo Micks, Disavventure Poetiche, Firenze, 1924
Paolo Micks era un uomo di grande delicatezza, amore per la cultura, curiosità intellettuale; schivo e timido, poliglotta, amante della letteratura, della filosofia, della matematica, della musica. Professore paziente e attentissimo, ha lasciato pagine e pagine di annotazioni di filosofia, storia, dimostrazione di teoremi, scritte in grafia minuscola e quasi completamente illeggibile.
 


 

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