Bagni in Arno, uno stile di vita.
Chi invece non era ricco abbastanza da potersi permettere un viaggio di due giorni per andare al mare non restava altro che cercare un bagno lungo la riva dell’Arno adatto alle sue tasche ed esigenze. Vi erano due tipi di bagni, quello per i più ricchi forniva ai propri ospiti grandi asciugami di lino, di pettini di ossa di cavallo, uno spogliatoio ed un guardaroba dove lasciare i propri abiti. C’era anche una cancellata di ferro per tenere separati i due sessi, non serviva a molto perché i giovanotti più intraprendenti si divertivano a nuotare sott’acqua ed entrare nella parte delle donne dove, a causa dello scompiglio che si creava per questa “invasione”, occorreva, per riportare la calma, l’intervento della forza pubblica. Uno di questi era situato alla Vagaloggia in zona del Prato dove c’erano anche dei mulini, che alla fine del '700 ben 14, adesso di fronte a villa Favard.
Nel quartiere di S. Niccolò c'erano altri due bagni, di proprietà di Giovan Battista Bianchi detto il Rosso: uno detto della Buca del Cento, all'ombra del giardino Torrigiani che, con il permesso del Magistrato civico e del Commissario di quartiere, venne chiuso da tende per evitare curiosi. E’ interessante notare che uno dei figli del Bianchi, Gaetano, lavorò nella bottega Pistoj in via Condotta e ne divenne allievo [1]; l'altro bagno situato alle Molina dei Renai, chiamato del Fischiaio, aveva un costo per entrare ed era di un quattrino per fare il bagno e un soldo per avere qualcosa con cui asciugarsi.
Questi ultimi due erano bagni popolari, dove uomini, donne e bambini stavano tutti insieme a prendere il sole, fare il bagno e “spettegolare”. Alle Molina dei Renai, dove oggi inizia il lungarno Serristori, vi era un altro bagno, di proprietà di Luigi Lemmi. Il Lemmi, essendo un imprenditore venne a Firenze per investire in una tintoria, attività molto remunerativa, si trovò a comprare un bagno pubblico, lavare panni o persone cambia poco.
Quest’ultimo bagno, per opera del Pons nuovo proprietario, cominciò ad essere frequentato solo da signori e aristocratici, il "fior di persone", perché qui ognuno aveva il proprio spogliatoio, c’era il barbiere, il parrucchiere ed usò, per evitare che dal ponte alle Grazie si vedessero i bagnanti "ignudi", dopo che aveva ottenuto il permesso, di usare per coprire lo stabilimento di usare un "incannicciato” considerato un metodo più solido, anche questo però, nei giorni di vento era del tutto inutile. Il posto acquistò popolarità perché venne costruito delle stanze con all'interno tinozze riempite con l'acqua dell'Arno calda, usando questo metodo attirò a se molte personalità importanti. Uno dei primi è stato il barone di Poallys, addetto all'ambasciata di Francia ma il secondo è stato il principe Anatolio Demidoff [2]. Questo principe oltre ad essere un grande imprenditore a livello internazionale era anche spericolato e come tale adorava sfidare i mulinelli, particolarmente forti alle Molina.
Risalendo il corso dell'Arno, troviamo un altro bagno quello delle Molina di San Niccolò, frequentato dalla "peggior feccia di Firenze", e dalle genti di Porta a San Miniato e dei Fondacci (zona popolare povera o per stranieri in zona San Niccolò). Questo bagno era molto pericoloso perché, dopo ogni piena, il letto del fiume si riempiva di spazzatura gettata li stessi dagli abitanti, ma era soprattutto il luogo conosciuto per pettegolezzi che spesso sfociavano in rissa.
Continuando a camminare si trovava quello della Zecca Vecchia in via delle Torricelle, su una piazzetta chiamata "Piazza della Ghiozza" ora Piazza Piave, dove andavano i Lanceri di Firenze a fare gli esercizi, la loro caserma era in Piazza dei Cavalleggeri dove adesso c'è la Biblioteca Nazionale. Questo bagno veniva chiamato "Mattoni Rossi", perché era costruito con mattonelle rosse e per il continuo movimento dell'acqua questi mattoni si mantenevano sempre rossi, ed era frequentato da persone "perbene".
Il bagno era ad uso di nuotatori provetti a causa delle forti correnti e mulinelli, ma anche per la pericolosa profondità; questo posto è rimasto in uso fino agli anni '70 del novecento come bagno pubblico poi divenne un cinema - teatro e si ballava. Il bagno confinava col giardino dello Scoti, famiglia ricca con case in via Tornabuoni, ed avevano qui in prossimità del fiume, da usare come forza motrice, una filanda della seta.
In prossimità della Zecca Vecchia, prima dell'abbattimento delle mura, si potevano trovare diverse botteghe, la più frequenta era una bettola, dove i bagnanti si fermavano a mangiare, e secondo Giuseppe Poggi, si “mangiava bene e si spendeva poco”.
Qui servivano pesci fritti dell'Arno e salumi accompagnati da ottimi vini rossi. Bisogna ricordare che lo spazio, dove adesso c’è la Caserma Baldissera, era occupato da uno stabilimento Balneare. Verso la Piacentina, passate le Molina vi era un oste che oltre a friggere i pesci medicava clandestinamente certe malattie e veniva chiamato il "Dottore", non è dato sapere quali malattie guariva. Un altro bagno di nome “Casaccia”, chiamato cosi perché nelle vicinanze c'era una casa semi-distrutta, ed era un posto frequentato da nuotatori molto spericolati e forse un po’ pazzi.
Gli appassionati di nuoto estremo si tuffavano dalla "Porticciuola delle Travi" [3], fra Piazza Mentana che ancora non esisteva, e Ponte alle Grazie, dove la corrente era molto forte. Qui si svolgeva una gara abbastanza rischiosa. I coraggiosi o solamente pazzi dovevano nuotare sott'acqua fino all'arcata centrale del Ponte Vecchio, con la gente che dalle sponte guardava entusiasta la gara. Qui gli uomini della Confraternita della Misericordia venivano spesso chiamati per portare via dei morti affogati, perciò per evitare questi incidenti vennero istituiti i "bagnini", scelti tra i nuotatori più bravi. Vicino piazza delle Travi fu salvato nell'agosto del 1783 Giovanni Martini, grazie all'eroico gesto di un certo Piero Nuti, divenne molto famoso, soprannominato "Mondo", adeguatamente ricompensato. Anche i medici che soccorrevano gli annegati avevano diritto ad un premio: così accadde nell'estate del 1784 al chirurgo Egidio Fabbrichesi, accorso per rianimare il malcapitato Luigi Mesti, tirato a riva più morto che vivo. Nel 1829 il gonfaloniere propose, per quel punto così pericoloso, un esplicito divieto di balneazione.
Una nota a proposito dei salvataggi: il Governo della città, per ogni salvataggio pagava un sostanzioso premio, 5 zecchini o 10 scudi, cifra molto alta fra il settecento e l’ottocento. Alcune persone organizzarono una frode, la quale consisteva di trovare persone che fingessero di essere in pericolo, cosi i bagnini si tuffavano per fare finti salvataggi, dividendosi il compenso. Le autorità a causa dei troppi salvataggi scoprirono presto l'inganno ed il servizio venne interrotto, causando così molti vittime per affogamento.
A causa dei frequenti annegamenti, l'ingegnere Paolo Veraci fu incaricato nel 1822 di indicare i punti più pericolosi per la balneazione: sotto la pescaia di S. Niccolò; presso i Mattoni Rossi; alla punta della Porticciola; nello spazio lungo la spalletta sinistra del fiume ("dalla casa Mazzinghi fino alla casa Mazzeranghe"[4]); sotto il ponte S. Trinita. Ma dove non c'era pericolo, le autorità non vietarono "alle classi indigenti il comodo che godevano dopo l'ave Maria delle 24 delle bagnature nell'Arno".
I regolamenti vietavano a chiunque di fare il bagno durante il giorno al di fuori dei luoghi deputati, ma nel luglio del 1819 la Presidenza del Buongoverno segnalò che "uomini e ragazzi in gran numero, e di chiaro giorno continuano a bagnarsi nell'Arno, e dentro la città e fuori lungo il passeggio delle Cascine, con molta meraviglia del pubblico che ne resta scandalizzato". Gli agenti di polizia furono allora autorizzati ad arrestare i trasgressori.
[1] Gaetano Bianchi, pittore e restauratore (Firenze 1819 - ivi 1892), si occupò del restauro di importanti dipinti medievali a Firenze (S.Maria Novella, S.Croce, Orsanmichele, S.Marco, Bargello) e di quelli di Piero della Francesca ad Arezzo. Preparazione storica e conoscenza delle tecniche antiche gli consentirono di realizzare numerosi affreschi "in stile" in chiese, palazzi, ville di Firenze e della Toscana. (Fonte Treccani)
[2] Anatoli Demidoff, (Firenze, 17 aprile 1812 – Parigi, 29 aprile 1870), è stato un imprenditore russo, e primo Principe di San Donato e divenne il committente della statua di Lorenzo Bartolini dedicata al padre, che, dopo la sua donazione alla città, si trova in piazza Demidoff.
[3] Esisteva un porticciolo fluviale che venne smantellato nel 1236 quando si iniziò a costruire il Ponte di Rubaconte (futuro Ponte alle Grazie) che avrebbe tagliato via la corrente dal piccolo porto. Alcuni studiosi sostengono che il porto esisteva dai tempi dei romani, altri collocano invece il primordiale scalo nei pressi di Piazza dei Giudici, per la protezione del quale venne forse eretto il Castello d'Altafronte. Verso la fine del Settecento la piazza venne chiamata anche Piazza d'Arno, e vi venne costruito l'ultimo dei tiratoi dell'Arte della Lana: popolarissimo scorcio pittoresco immortalato da numerosi vedutisti, consisteva in una specie di pontile lungo il fiume, con una tettoia verso l'Arno. In questa zona, detta anche Porticciola, le lavandaie venivano di frequente a sciacquare il bucato. Il tiratoio arrivava fino a piazza dei Giudici e venne distrutto per fare posto alla neoclassica sede della Borsa, poi della Camera di Commercio.
[4] Casa Mazzeranghe, deposito degli attrezzi del Comune situate in prossimità dei fiume. Al singolare è “saltapicchio” ed è formato da un massiccio tronco di cono rinforzato alla base che, battuto pesantemente sul terreno, serve a livellarlo e compattarlo; è anche usato per conficcare pali nel terreno.
Si incede, gli occhi fissi verso la meta, e non si ha tempo di voltarsi indietro.
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