Salimbene e gli scherzi

L'estratto è un frammento della "Cronaca" di fra Salimbene da Parma (1221-1288), un frate Francescano dell'Ordine dei Minori. 

"Cronaca" di fra Salimbene da Parma (1221-1288)

La sua opera, volgarizzata da Carlo Cantarelli nell'edizione del 1857, è una cronaca che copre il periodo dal 1168 al 1287, narrando gli eventi della vita religiosa e politica in Italia. Salimbene si distingue per uno stile molto personale che riflette la sua complessità e versatilità: è colto ma vicino al popolo, spirituale e appassionato, attento alla storia e appassionato delle Sacre Scritture.
Non so a qualcuno può interessare ma il primo testo è stato tradotto dall'antico latino da Cantarelli, mentre il secondo è stato scritto in un italiano più moderno. 
 

Nel breve scritto, si racconta di uno scherzo fatto da Diotesalvi da Fiorenza che ha come vittima un certo Frate Giovanni, il quale era convinto di poter compiere miracoli. Salimbene sottolinea l'abilità dei fiorentini nel fare scherzi e battute. Risulta affascinante scoprire che già otto secoli fa i fiorentini già erano noti per il loro spirito scherzoso e umoristico.
 


[…] Poi, dopo lunga pezza, scappucciatosi, parlava al popolo meravigliato, quasi dicesse coll'Apocalisse I: Io era in Ispirito nel giorno della domenica, ed ascoltai il dilettissimo nostro fratello Giovanni da Vicenza, che predicava vicin di Bologna, nella ghiaia del Reno, ed aveva un affollatissimo uditorio, e queste furono le prime parole della sua predica: Beata la gente che per suo signore ha Dio, beato il popolo eletto da Dio per sua eredità. Altrettanto diceva di frate Giacomino. E quelli sapevan dire parimente di lui.
Meravigliavano i presenti, e, punti da curiosità, spedivano messi per sapere se era vero ciò che loro si diceva. E trovando che sì, vieppiù restavano meravigliati; sicchè molti, abbandonando il secolo, entravano nell'Ordine de' frati Minori, e de' Predicatori. E in diversi altri modi, e in molte parti del mondo gran bene si fece a tempo di quella divozione, come ho visto io co' miei occhi. Vi furono però anche a que' tempi molti barattieri e gabbamondi, che facevan di tutto per calunniare gli innocenti. De' quali fu un Boncompagno fiorentino, rinomato maestro di grammatica in Bologna, che compose libri intitolati Del comporre. Costui, che tra' fiorentini era il più arguto nel mettere in canzone la gente, compose una rima in derisione di frate Giovanni da Vicenza, di cui non ricordo nè il principio, nè la fine, perchè da molto tempo non l'ho letta, e quando la lessi non mi curai tanto d'impararla bene a memoria. V'erano però questi versi, che mi ricorrono a mente: 
E Giovanni giovanneggia
E ballando caroleggia,
Or tu salta, vola, sali,
Tu ch'al cielo batti l'ali;
Saltan questi, saltan quelli,
Saltan pur mille drappelli;
Danzan donne in giro, in coro
Danza il Sir del Bucintoro ecc.
Così pure questo maestro Boncompagno vedendo che frate Giovanni s'era messo in capo di far miracoli, anch'egli volle provarsi a farne, e annunziò ai Bolognesi che voleva volare sotto i loro occhi. Non ci volle altro. La notizia corre per Bologna; arriva il giorno prefisso; si raduna tutta la città, uomini, donne, vecchi, fanciulli, alle falde d'un colle, che si chiama S. Maria in Monte.
S'era fatte due ali, e stava sulla vetta del monte guardando la folla. Ed essendosi reciprocamente a lungo guardati, proferì queste parole: Andatevene colla benedizione di Dio, e vi basti aver veduta la faccia di Boncompagno. E ne ritornarono derisi. Questo maestro Boncompagno, essendo un ottimo scrittore, per consiglio de' suoi amici andò a Roma, volendo provare se per avventura potesse colla sua abilità nelle lettere, trovar grazia nella corte romana. Ma non avendo trovato favore, se ne partì, e divenuto già vecchio, si era ridotto a tanta miseria, che fu costretto a chiudere i suoi giorni in un ospedale a Firenze. A frate Giovanni da Vicenza poi più sopra menzionato, gli onori ricevuti e la grazia nel predicare gli avevano siffattamente beccato il cervello da avernelo travolto e credere di poter fare veri miracoli anche senza l'aiuto del braccio di Dio. Il che era somma stoltezza, perchè il Signore dice in Giovanni 15. Senza me nulla potete fare. Parimente ne' Proverbii 26. Chi dà gloria allo stolto fa come chi gittasse una pietra preziosa in una mora di sassi. Essendo frate Giovanni rimproverato delle sue fatuità da' suoi confrati, rispondeva loro, dicendo: Se non la finite, io vi infamerò
pubblicando le vostre azioni. Per ciò lo tollerarono sino che morì, non trovando modo di contrastargli. Questi essendo venuto un giorno al convento de' frati Minori, ed avendogli il barbiere rasa la barba, s'ebbe a male che i frati non ne avessero raccolti i peli da serbare per reliquie. Ma frate Diotisalvi da Fiorenza dell'Ordine dei Minori, che, secondo il costume de' Fiorentini era prontissimo a canzonare la gente, a capello rispose allo stolto come si conviene alla sua follìa, chè talora non gli paresse d'esser savio. Proverbii 26. Perocchè andato un giorno al convento de' Predicatori, ed essendo stato da loro invitato a pranzo, disse che in niun modo accetterebbe, se non dessero a lui un lembo della tonaca di frate Giovanni, che stava in quel convento, da conservare come reliquia. Promisero e diedero una
larga pezza di tonaca, colla quale, sgravatosi dopo pranzo il ventre, forbissi l'ano, poi la gittò nello sterco. Poscia, presa una pertica, rimestava lo sterco gridando e dicendo: Ahi! Ahi! aiutatemi o fratelli, che cerco la reliquia del santo che ho smarrita nella latrina. E guardando essi in giù dalle finestre delle celle, egli rimestava più forte perchè ne sentisser l'odore. Pertanto nauseati da tali esalazioni, ed inteso che erano stati scherniti da quel canzonatore, ne restarono confusi e svergognati. Questo frate Diotisalvi una volta fu comandato di andare per obbedienza ad abitare nella provincia di Penne, in Puglia. Egli allora andò nell'infermeria, si cavò nudo, e, scucito un materasso, vi si nascose dentro e vi stette tutto un giorno involto nelle penne. Cercato da' frati, ivi lo trovarono, e disse che aveva adempiuto all'obbedienza impostagli. Perciò, a cagione di questa spiritosità, gli fu condonata l'obbedienza, e non andò. Così un giorno d'inverno camminando per Firenze scivolò per ghiaccio, e stramazzò disteso sulla via. Vedendo questa scena i fiorentini, che è gente nata per dar la beffa, cominciarono a ridere. Ma uno chiese anche al frate se volesse un cuscino da mettersi sotto. A cui il frate rispose che sì, che sì, purchè da mettersi sotto gli si desse per cuscino la moglie del suo interlocutore. I fiorentini udendo questa risposta non ne ebbero scandalo; anzi lodarono il frate, dicendo: quest'è veramente de' nostri. (Alcuni attribuirono questa risposta ad un altro fiorentino, che si chiamava frate Paolo Millemosche dell'Ordine de' Minori). Ma noi dobbiamo piuttosto domandare a noi stessi, se il frate facesse bene, o male a rispondere in quel modo: e sosteniamo che per molte ragioni rispose male..... Però frate Diotisalvi, che diede occasione a questo racconto, per molte altre ragioni si può anche scusare. La sua risposta però non deve trarsi ad esempio, che altri la ripeta…
La terza ragione è che parlò tra suoi concittadini, i quali non se ne scandolezzarono essendo eglino tutti uomini sollazzevoli ed usi alle beffe. Ma in altro paese avrebbe suonato male quella risposta del frate. Di questo frate Diotisalvi inoltre io so molte cose, come anche del conte Guido, di cui da molti molte e varie cose sogliono contarsi, che, essendo più scandalose che edificanti, io non racconto.
Tuttavia frate Diotisalvi andò oltremare coll'arcivescovo di Ravenna, chiamato Teodorico, che fu sant'uomo e persona assai onesta. Dopo lui fu Arcivescovo di Ravenna Filippo di Pistoia, o di Lucca, a cui successe frate Bonifacio dell'Ordine de' Predicatori, nativo di Parma, che ebbe l'Arcivescovado da Papa Gregorio X non in grazia dell'Ordine suo, ma perchè era suo parente; ed ora è Arcivescovo anch'esso, grande oratore, e tenace sostenitore del partito della Chiesa. Una cosa però non è da tacere, ed è, che i Fiorentini non si scandalizzano se taluno esce dell'Ordine dei Minori, ed anzi dicono di far le meraviglie come vi sia stato tanto tempo, stantechè i frati Minori sono una gente povera, che si impone mille maniere di penitenze. Questi Fiorentini avendo un giorno udito che frate Giovanni da Vicenza dell'Ordine dei Predicatori, di cui è parlato più sopra, voleva andare a Firenze, dissero: Oh! Dio! non venga quà. Perochè si dice che risusciti i morti, e noi siamo già tanti che la città non ci potrà contenere. Ed il parlare de' Fiorentini suona assai grazioso in loro dialetto. Sia benedetto Iddio che abbiam finita questa parte. Vi fu a questi tempi un canonico Primasso di Colonia, argutissimo a mettere in canzone e dar la baia alla gente e versaggiatore facile e potente, che se si fosse dedicato di cuore a servire Iddio sarebbe stato grande nella letteratura religiosa, e utile alla Chiesa di Dio.
Fece un'Apocalisse, ch'io ho veduto, e molte altre opere. Costui condotto un giorno dal suo Arcivescovo ai campi, non a meditare, ma a passeggiare, e avendo veduto i buoi del podere dell'Arcivescovo, che aravano, belli, forti e grassi, e avendogli detto l'Arcivescovo: Se, prima che i buoi arrivino quì, saprai far versi intorno ad un regalo di buoi, io te li donerò: Primasso soggiunse: Sta fermo ciò che hai detto? Fermissimo, rispose l'Arcivescovo. […]

Ahi! Ahi! aiutatemi o fratelli, che cerco la reliquia del santo che ho smarrita nella latrina.

[…] Dopo un lungo intervallo, coperto dal cappuccio, il Frate Diotesalvi si rivolgeva al popolo stupefatto, quasi parafrasando l'Apocalisse I: “Io ero in Spirito nel giorno della domenica e ascoltai il nostro caro fratello Giovanni da Vicenza, che predicava nelle vicinanze di Bologna, nella ghiaia del Reno, con un uditorio affollatissimo. Le sue prime parole furono: Beata la gente che ha Dio come signore, beato il popolo scelto da Dio come eredità. Frate Giacomino diceva cose simili, e quelli affermavano lo stesso di lui.”
I presenti rimanevano stupiti e, mossi dalla curiosità, inviavano messaggeri per verificare la veridicità delle voci. Confermata la realtà dei fatti, la meraviglia cresceva ulteriormente. Così, molti, abbandonando il mondo, si univano agli Ordini dei frati Minori e dei Predicatori. In vari modi e in molte parti del mondo, la devozione prosperò, come ho personalmente constatato. Tuttavia, in quei tempi, non mancarono commercianti e ciarlatani che cercavano di diffamare gli innocenti. Tra questi, spiccava un fiorentino di nome Boncompagno, rinomato maestro di grammatica a Bologna, autore di libri dal titolo "Del comporre". Questi, abile nell'arte della satira, compose versi derisorii su frate Giovanni da Vicenza. Benché non ricordi l'inizio e la fine della poesia, alcuni versi mi vengono in mente:
"E Giovanni giovanneggia
E ballando caroleggia,
Or tu salta, vola, sali,
Tu ch'al cielo batti l'ali;
Saltan questi, saltan quelli,
Saltan pur mille drappelli;
Danzan donne in giro, in coro
Danza il Sir del Bucintoro, ecc."
Boncompagno, vedendo che frate Giovanni ambiva a compiere miracoli, decise di emularlo. Annunciò ai bolognesi che avrebbe volato davanti ai loro occhi. La notizia si diffuse rapidamente, e al giorno stabilito, tutta la città si radunò alle pendici di un colle chiamato S. Maria in Monte.
Boncompagno, con due ali fatte da sé, si posizionò sulla cima del colle, osservando la folla. Dopo uno sguardo reciproco prolungato, pronunciò le seguenti parole: "Andatevene con la benedizione di Dio, e siate contenti di aver visto il viso di Boncompagno." I presenti tornarono a casa beffati.
Questo Boncompagno, un eccellente scrittore, recandosi a Roma per cercare fortuna nella corte papale con le sue abilità letterarie, non ottenne favore e, diventato anziano, finì la sua vita in miseria, costretto a chiudere i suoi giorni in un ospedale a Firenze. Quanto a frate Giovanni da Vicenza, acclamato e gratificato per le sue predicazioni, sviluppò una tale presunzione da credere di poter compiere miracoli senza l'intercessione divina. Ciò era estrema stoltezza, come dichiara il Signore in Giovanni 15: "Senza di me, nulla potete fare." Anche nei Proverbi 26 si avverte che chi dà gloria allo stolto è come chi getta una pietra preziosa in una melma di sassi.
Rimproverato dai suoi confratelli per la sua presunzione, frate Giovanni rispondeva minacciando di diffamare pubblicamente le azioni degli altri frati. Tollerato fino alla sua morte, nessuno osava contrastarlo. Una volta, recatosi al convento dei frati Minori, offeso perché il barbiere non aveva raccolto i peli della sua barba per farne reliquie, fece uno scherzo particolare. Frate Diotisalvi da Firenze, solito a beffeggiare come solo i fiorentini sanno fare, rispose al suo compagno, ridicolizzando la sua richiesta di un pezzo di tunica:
Se non vi offendete, vorrei un lembo della tonaca di frate Giovanni da conservare come reliquia. Promisero e gli diedero un ampio pezzo di tonaca. Dopo pranzo, frate Diotisalvi, sgravato, usò la tonaca per asciugarsi e, successivamente, la gettò nel letame. Prese una pertica, mescolò lo sterco e gridò: Aiutatemi, fratelli! Sto cercando la reliquia del santo che ho smarrito nella latrina. Guardando giù dalle finestre delle celle, egli continuò a mescolare con maggiore energia, provocando disgusto nei frati che, scoprendo l'inganno, rimasero confusi e imbarazzati.
Frate Diotisalvi, noto per il suo spirito allegro, fu una volta mandato per obbedienza a vivere nella provincia di Penne, in Puglia. Egli, seguendo il suo umorismo, si nascose nudo nell'infermeria, avvolto in un materasso aperto. Trovato dai frati, dichiarò di aver adempiuto all'obbedienza. Grazie a questa sua vivacità, fu scusato dall'obbedienza e non dovette partire.
Un giorno d'inverno, camminando per Firenze, scivolò sul ghiaccio e cadde sulla strada. I fiorentini, noti per il loro spirito beffardo, scoppiarono a ridere. Tuttavia, uno degli spettatori gli chiese se desiderasse un cuscino per sedersi. La risposta del frate fu altrettanto scherzosa: "Sì, sì, purché il cuscino sia la moglie del tuo interlocutore." I fiorentini, lontani dallo scandalizzarsi, lodarono il frate, affermando: Questo è veramente uno di noi. (Sebbene alcuni attribuiscano questa risposta a un altro frate fiorentino, chiamato frate Paolo Millemosche dei Minori).
Tuttavia, dobbiamo riflettere se la risposta del frate fosse appropriata o meno. Sosteniamo che, per molte ragioni, fu una risposta sbagliata… La terza ragione è che parlò tra suoi concittadini, i quali non si scandalizzarono, essendo uomini abituati agli scherzi. Ma in un'altra località, la risposta del frate avrebbe potuto avere conseguenze negative. Per queste ragioni, la risposta del frate Diotisalvi, che ha ispirato questo racconto, non dovrebbe essere presa ad esempio per altri.
Tuttavia, frate Diotisalvi si recò oltremare con l'arcivescovo di Ravenna, Teodorico, noto per la sua santità e onestà. Gli successe nell'arcivescovado Filippo di Pistoia o di Lucca, a cui seguì frate Bonifacio dell'Ordine dei Predicatori, originario di Parma, che ottenne l'arcivescovado da Papa Gregorio X non per merito dell'Ordine, ma perché suo parente; attualmente è ancora arcivescovo, un grande oratore e un fervente sostenitore del partito della Chiesa. Tuttavia, è importante notare che i fiorentini non si scandalizzano se qualcuno lascia l'Ordine dei Minori, anzi ritengono che faccia meraviglie essendo rimasto così a lungo, dato che i frati Minori sono soliti imporsi molte penitenze. Un giorno, udendo che frate Giovanni da Vicenza, dell'Ordine dei Predicatori, di cui si è parlato precedentemente, intendeva recarsi a Firenze, i fiorentini dissero: Oh, Dio! Che non venga qui. Si dice che resusciti i morti, e noi siamo già tanti che la città non ci conterà più. Il parlare dei fiorentini suona molto piacevole nel loro dialetto. Sia benedetto Iddio che abbiamo concluso questa parte.
A quei tempi, c'era un canonico di Colonia di nome Primasso, straordinario nel mettere in canzone e prendere in giro la gente, un versificatore abile e potente. Se si fosse dedicato sinceramente a servire Dio, avrebbe avuto un grande impatto nella letteratura religiosa e sarebbe stato utile per la Chiesa di Dio. Primasso realizzò un'Apocalisse, che ho avuto modo di vedere, e molte altre opere. Un giorno, portato dal suo arcivescovo nei campi non per meditare, ma per passeggiare, osservò i buoi del podere dell'arcivescovo che aravano, belli, forti e grassi. L'arcivescovo gli disse: "Se, prima che i buoi arrivino qui, riesci a fare versi su un regalo di buoi, te li donerò." Primasso rispose: "Resta fermo quanto hai detto?" E l'arcivescovo confermò: "Fermissimo." […]

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Cosicché, queste due befanate che andarono a finir male, diventaron famose; e servirono di ammaestramento per l'avvenire.

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