Una riflessione in Fiacres!

Una riflessione in Fiacres!
 
— Alla Stazione della Strada Leopolda! galoppo raddoppiato!... e marche!
E il vetturino non intese a sordo: affibbiò due colpi di frusta sopra una carcassa di cartapecora, coperta di un pelo brinato, avente l’effigie di un ronzinante a quattro gambe — e il fiacre (1) sì messe in moto.
Intanto, nel mentre che io finiva di accomodare le mie gambe dentro il circuito della quadriga, mi venne fatto di voltarmi a sinistra, e vidi un individuo grosso e traverso, tutto vestito di panno nero da capo ai piedi, il quale, dopo avere interrogato una dozzina di vetturini, sul prezzo che esigevano per trasportarlo alla Stazione fuori la porta al Prato, s’era finalmente risoluto di far la strada colle proprie gambe — anziché (diceva esso, borbottando e camminando) sottoporsi ad essere scorticalo vivo da questi Pirati di terra-ferma.


Stazione Maria Antonia

L’individuo in questione era un terrazzano (2): lo rivelava a colpo d’ occhio per tale, il suo soprabito di panno nero, che gl’impediva la libera circolazione del sangue sotto le braccia e respettive adiacenze: lo dicevano i suoi pantalaloni di forma conica, il suo corpetto, a giustacuore, la sua cravatta a colori diversi e fiammanti, come l’arco-baleno! E quand’anco fossero mancati tutti questi connotati, sarebbe stato
sufficiente a qualificarlo per un prodotto della provincia, quello spirito d’economia mal’intesa, e quel sospetto continuo di esser preso per il collo — sospetto che accompagna quasi sempre il terrazzano , ogni qualvolta si reca per affari alla Capitale (3).
La sua faccia, ben pasciuta è rubiconda, non aveva nulla di singolare: era una di quelle tante facce comunissime che s’incontrano frequentemente per le fiere e per i mercati delia campagna, e che oggi le vedete mobili e svelle sopra gli omeri di un grosso negoziante d’olio, mentre domani vi si presentano stupide e incassate dentro la cravatta bianca di un Consigliere di Municipio.

 

Lo spettacolo di questo bipede che, sotto la sferza nascente di un sole di Giugno, si accingeva a percorrere a piedi il lungo tragitto che divide la Piazza del Duomo dalla Stazione della Leopolda , caricato, com’era, per giunta di una grossa ventriera (4) di quattrini legata alla vita, e di un’enorme sacca da notte sotto il braccio, mi richiamò involontariamente a varie e diverse meditazioni.
— Oh! — gridai fra me e me con un accénto più drammatico che vero — l’uomo non era fatto per andare a piedi!
Io non conosco sulla terra l’essere più decaduto dell’Uomo-pedone. Togliete all’Ebreo Errante le sue scarpe inchiodate a doppio suolo, e calzatelo di vitello patinato, ed avrete l'immagine al vivo dell’uomo condannato a camminare a piedi per tutta la vita.
Quando anche mi dovessi trovare in aperta opposizione con Buffon (5), e con tutti i più celebri naturalisti antichi e moderni, nonostante tornerei a ribattere la mia opinione :
— L’ uomo non era fatto per andare a piedi!
E dov'è egli mai il decoro e lo splendore di questo Re degli animali, quando Io costringete a camminare pedestremente, come l'infimo dei suoi sudditi, come il più vile fra i suoi vassalli?...
Io credo che una buona dissertazione storico-filosofica sulla Scuderia, dai tempi più remoti fino al giorno d’oggi, potrebbe giovare moltissimo a mostrare gli sforzi continui che ha fatto in ogni epoca la società umana, pur di cancellare dalla faccia della terra la vergogna dell’Uomo-pedone.

 

Un ultimo e disperato tentativo, fu l'invenzione del Velocipede.
— ma, come tutte le grandi invenzioni fatte a benefizio dell’umanità, questa, fìn dal suo nascere, venne calunniata e depressa!
Forse alcuni vi faranno osservare che un popolo che va in velocipede non presenta un’idea troppo vantaggiosa di sè; ma costoro hanno torto. Il velocipede, propriamente parlando, non è un trastullo; è un idea — è una istituzione filantropica — è un atto di reazione della razza Giapedica (6) oramai stanca di andare a piedi.
C’è di più; io non crederò mai a questo tanto decantato amore per le bestie in generale e per i cavalli in particolare, fino al giorno che non vedrò il velocipede rimesso in voga ed accettato indistintamente in tutte le rimesse.
Il Velocipede era l’amico dell’uomo!
Intanto l'ostracismo dato proditoriamente a questo figlio della Meccanica, fece sì che da un giorno all’altro ritornasse in credito il fiacre — il fiacre , la vettura più screditata di tutta la storia moderna. Sebbene le opinioni sulla maggiore o minore comodità del fiacre siano a tutt’oggi divise, pure, malgrado ciò, anche i più divergenti sono costretti a considerare questo mezzo di trasporto, come una dura necessità che pesa sopra tutti coloro che hanno per opinione, di non tenere nella stalla una carrozza e due cavalli in proprio. E le opinioni vanno rispettate!...
Non so se il lettore abbia fatto un’osservazione; cioè, che le persone, che ordinariamente vanno a piedi, quando per un dato bisogno o capriccio si servono qualche volta di una vettura, adoprano, nel raccontare questo avvenimento, un frasario che varia, a seconda della condizio
ne e dell’età dell’individuo che parla. Per esempio:
I ragazzi al disotto dei 10 anni dicono — Andare in carrozza (qualunque trasporlo a quattro rote, per i ragazzi, assume sempre l'importanza e il titolo di carrozzai..)

 

II provinciale, per il solito, s’esprime così: Ho preso una vettura!
L’uomo avvezzo, il lyon, e il borghese comodo, adoprano la frase: — prendere un legno!...
Il popolano fiorentino, potete contarvi, vi dice: siamo andati in Fiacchierre — i droski , i phaeton, le Malibran e tutte le altre nuances della gran famiglia delle vetture, non esistono per il popolano fiorentino — per lui, ogni vettura a nolo, è un fiaccherrre.
Dopo dieci minuti di mal vettura (che potrebbe far seguito al mal di mare) giunsi alla porta della Stazione e smontai
E se ora qualcuno fra voi, amici lettori, vo lesse darsi l’aria di viaggiare per istruzione (frase che gli uomini inventarono apposta per iscusare il loro, istinto al vagabondaggio!) e desiderasse pochi e precisi schiarimenti relativi alla grande Stazione della Leopolda, alle Macchine e alle cifre che rappresentano, non deve far altro che rivolgersi al primo impiegato che gli capita dinanzi — e se questi si troverà in uno di quei quarti d’ora d’espansione, in cui, pur di avere un pretesto a cicalare, si pagherebbe qualcuno espressamente perchè c’indirizzasse o dei quesiti da sciogliere​ o delle domande da soddisfare, sono certo che si farà un piacere di rispondervi presso a poco così: —
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Stazione Maria Antonia

(NB. Se per caso l’impiegato, alla vostra dimanda replicasse con una buona voltata di spalle a secco (modo abbastanza laconico, ma non abbastanza chiaro e persuasivo) voi potete dedurre francamente, o ch’egli si trova sotto un attacco nervoso, o che lo tormenta un piede leggermente più grande del suo stivale nuovissimo, o che insomma non ha voglia di perdere il suo tempo con voi — cause tutte, come capirete di prim’acchito, totalmente estrinseche e indipendenti da quella buona volontà e da quell’antica cortesia, che furono sempre, ed ovunque, la duplice caratteristica degli impiegati in generale, e di quelli delle strade-ferrate in particolare)
Dunque, come io vi diceva poco sopra, avanti il prolisso Nota-Bene, se l’impiegato è in vena di farvi un tantino da Cicerone, vi risponderà, parola più parola meno, in questi termini storico-scienlifìco-tecnico-amministrativi:
Il dì 5 d’Aprile 1841 il Governo Toscano approvava le condizioni per la concessione ad una Società Anonima formata dal Cav. Priore Emanuelle Fenzi e Pietro Senn, negozianti e
banchieri, della costruzione della Strada Ferrata Leopolda, da Firenze a Livorno, fissando a cento anni la durala del privilegio, dopo il qual tempo entrerà il Governo nel pieno possesso e godimento di detta Strada.
Il progetto dei lavori fu fatto dall’ingegnere inglese Roberto Stephenson, che delegò, per dirigerne l’esecuzione, due ingegneri, parimente inglesi, cioè Guglielmo Hoppner, per i lavori tra Pisa e Livorno, e Guglielmo Bray per quelli tra Pisa e Firenze.​
​


Tutta la Strada, da Firenze a Livorno, è lunga circa a miglia 57. — cioè:
Da Firenze a Empoli Miglia 18
Da Empoli a Pontedera Miglia 16
Da Pontedera a Pisa Miglia 12
Da Pisa a Livorno Miglia 11
Totale Miglia 57

Il primo ramo di Strada Ferrata, che si aprisse in Toscana, fu quello tra Pisa e Livorno il giorno 13 Marzo 1844. L'apertura poi della Strada, nella sua totalità, cioè da Firenze a Livorno, venne inaugurata il 10 Giugno 1848, sopra due sole guide.
Oggi tutta la linea è a doppia rotaia.
Si crede che la Strada Ferrata Leopolda, a lavori finiti, costasse alla Società 34 milioni di lire fiorentine.
Cinque sono le Stazioni principali, che s’incontrano lungo la strada, cioè:
Stazione di Firenze
        »          Empoli
        
»          Pontedera
        »          Pisa e
        »          Livorno


Otto sono le Stazioni secondarie, vale a dire:
Stazione di S. Donnino a Brozzi
        »          Signa
        »          Montelupo
        »          S. Pierino
        »          S. Romano
        »          La Rotta
        »          Cascina
        »          Navacchio​


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

— Non appena ebbi messo il piede dentro la navata della Stazione, che io mi trovai spettatore di una di quelle sublimi scene d’amore incompreso e d’abbandono ineffabile, che sono il cibo prelibato a cui, i poeti del giorno, fanno tanto la caccia, come potrebbero farla le api alle stille che spuntano sul fiore — o i can-barboni alle mosche negli infuocatissimi solleoni d’agosto !



Tratto da Carlo Lorenzini, Un romanzo in vapore da Firenze a Livorno, Firenze, Tipografia Giuseppe Mariani, 1856.
Carlo Lorenzini. Giornalista e scrittore (Firenze 1826 - ivi 1890), noto soprattutto con lo pseudonimo di Collodi (dal borgo presso Pescia dove era nata sua madre)​. (
Treccani)

(1) Fiacre era una vettura pubblica a cavalli, carrozza da piazza in genere (in Toscana era comune l’adattamento fiàcchere, altrove fiàcher e forme simili).
(2) Terrazzano è un abitante di una città fortificata, di un castello, di un borgo.
(3) Nell'anno della pubblicazione del libro la Capitale era ancora Torino, qui lo scrittore intende Firenze capitale del Granducato dei Lorena fino al 1859.
(4) Ventrièra è una borsa o grande tasca, di pelle o d’altro, che si portava un tempo cinta alla vita per mettervi dentro il denaro, gli arnesi da lavoro, le munizioni da caccia, ecc. Un oggetto simile è in uso anche oggi, noto in commercio col nome di marsupio.
(5) Buffon, Georges-Louis Leclerc conte di, naturalista francese (Montbard, Côte-d'Or, 1707 - Parigi 1788) (
Treccani)
(6) Giapedica era considerata una delle tre razze insieme alla semitica e camitica.

 
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