La Villa degli Alighieri
Conosce lei, mi diceva un carissimo amico, la villa di Dante sul colle di Camerata?
— Di nome e poco più. — Possibile! Non vi è mai stato? — Nemmeno per sogno. — Vada a vederla; lei che si occupa di cose Fiorentine non può farne a meno. Tanto più ora che gli attuali proprietari, lieti di possederla, hanno messo tantoo con grande amore a restaurarla.
— Non lo sapevo. Vi ho piacere, e quando è così non dubiti che, appena avremo una giornata con garbo, la prima passeggiata sarà a quella volta. E.... dico, i proprietari come si chiamano?
— Bondì. — Oh! questo mi è di buon augurio: grazie della notizia, vuol dire che la vedrò ben presto.
Per non trovarmi come un allocco e rimanere sul più bello a bocca aperta, fors'anche in faccia al casiere, pensai di ricercare preventivamente nei pochi libri di storia patria da me posseduti qualche notizia in proposito, ed ecco quanto da questi e da qualche altra lieve ricerca ho potuto raccapezzare, e che, senza egoismo, egregi lettori, fo noti anche a voi.
Voleva la tradizione che i figli di Aldighiero, Dante, Lapa, Francesco ed altra sorella avessero avuto uno dei luoghi di diporto ed un piccolo possesso sul colle di Camerata, senza però che per la medesima tradizione fosse accertata la ubicazione precisa. Avvicinandosi il quinto centenerio dalla nascita del divino poeta, il proprietario della villa di cui discorriamo, che era allora il Cav. Guido Giuntini, desiderò nella
speranza di esser egli il fortunato possessore della casa di delizia degli Alighieri di conoscere con certezza in chi fosse la casa stessa innanzi l'accertato possesso dei Portinari, e le ricerche iniziate all'Archivio di
Stato, continuate in quello dei Buonomini di San Martino, terminate in quello dei contratti, portarono a stabilire che questo possesso era in realtà quello desiderato, che indiviso nei parenti di Dante fino ai 1332, anno nel quale il duca d'Atene restituì ai figli del grande poeta i beni confiscatigli trent'anni prima dalla Repubblica (1) era con gli altri possessi indiviso e passò nei Portinari, quando agli Alighieri parve opportuno di regolare i loro interessi.
Ma a chi di questa casata? Io non so darvene conto; ma è un fatto che il possesso degli Alighieri restò nella famiglia Portinari non meno di 175 anni, avendo veduto con i propri occhi le portate o denunzie fatte dai capi di quella casa nel 1427 e 1454, più il contratto di passaggio da loro in Tinoro di Marco Bellacci del 14 maggio 1507. (2)
Ma da tanto, cioè dall'aver potuto provare che questo luogo fu degli Alighieri, al romanzo dovuto forse alla fervida fantasia popolare che qui fanciulli convenissero Dante e Beatrice, mi pare corra assai, giacché l'avere i Portinari 30 anni dalla morte di Beatrice, 11 anni da quella di Dante comprato quel possesso, non vuol significare che lo facessero per amore alla memoria di nessuno dei due tanto meno di Dante, al quale si vuole avessero negata Beatrice per imparentarsi con altro molto più ricco di lui.
Io, quanto a notizie storiche, non ho da aggiungerne altre; ma venne la bella giornata, e puntuale per la barriera delle Cure (fig. 1), presa la via della Piazzola mi avviai al luogo desiderato.
Passato di mezzo chilometro il convitto della Querce vidi sulla destra un ampio cancello con indicazione Villa Bondì. O perché non Villa Dante? pensavvo fra me, e stavo per suonare il campanello quando una
campagnola, che a caso passava di là, mi disse: — La villa è dall'altra parte. — Dove?
— Giri attorno al muro, rimane sulla via delle Forbici.
Questa semplice indicazione, cammin facendo, mi avea riportato alla memoria la denunzia con la quale Bernardo di Giovanni Portinari nel 1427 indicava al catasto il podere con chasa da signore e lavoratore
luogo detto il Gherofano in Camerata.
Quando dopo forse trecento passi giunsi alla villa, sul pratello che la fronteggia era ferma una vettura privata, dalla quale ebbi indizio che il proprietario doveva star poco ad uscire, ed a passatempo mi messi ad
osservare le finestre che sono di quella fattura che si scorge ancora in centinaia delle nostre ricche case di campagna, con davanzale sporgente, sorretto da mensolette e coronate da un frontespizio orizzontale poco dissimile.
Quelle mensolette però di vago disegno e di fino intaglio mi fermarono, e vagato coll'occhio sul resto della facciata, mi accorsi essere sull'alto del portone uno stemma, sostenuto da due graziosissimi putti, seduti sopra natanti Delfini, di un insieme toccato con una leggiadria ed una finezza di lavoro degna di osservazione.
Lo scudo non portava nessun segno araldico, nè io potei scorgere ia alcun lato alcuna indicazione di chi potesse averlo ordinato. (3)
Io me ne stava assorto in congetture, quando vidi aprire il portone ed escirne due signori, il più giovane dei quali ordinò al casiere mi si domandasse se amavo vedere anche il cortile, ed io che, come sapete, non
ero andato là che per questo, accettai con riconoscenza, ed eccomi a ragguagliarvi di quanto si tratta.
Il cortile (fig. 1) è formato da un rettangolo, su tre lati del quale è un loggiato sorretto da colonne con capitelli che vorrebbero essere corinti e che per il pregio dell'arte stanno ad eguale distanza dalla severità dei tempi di Arnolfo come dalla maniera ridente e gentile di quello del Brunelleschi. Sovrasta a queste arcate e tutte gira le quattro faccio del rettangolo, un verone a parapetti pieni con colonnette, con graziosi capitelli di
stile medioevale, sopportanti carattéristiche mensolette, testate di travi e piane poste orizzontalmente a sostegno dei correnti della tettoia nella quale si scorgono tuttora visibili traccio dei primitivi ornati, i quali a modo di fregio si ripetono sui muri che la sostengono. Ho detto che il verone sovrasta su tre lati la loggia; l'altro, quello cioè dal lato d'ingresso, sporta in volta troncata tanto ingegnosamente da mostrare la leggerezza dei nostri tempi nel giudicare gli artisti del medio evo e del risorgimento, come inetti nella parte statica. Sul muro di questo lato, ai fianchi della porta, si vedono i ritratti di Dante e di Beatrice, in due medaglioni, scolpiti dal Duprè, sotto i quali si leggono incisi i seguenti versi scritti espressamente da Luigi Venturi.
I
Questa magion campestre era soggiorno
Al cantor dei tre regni; ed ei venia
Giovine quivi, a inebriarsi un giorno
Di speranze, d'amor, di poesia,
E la lasciò, nè più vi fe' ritorno
Poiché l'esilio gli serrò la via.
Or le ridona di sui gloria un segno
Le figlie e il nome di quel divo ingegno.
II
Cacciato l'Alighier, casa novella
Divenne ai Portinari, e ne fu lieta
Che, se le sparve il raggio della stella.
Lo splendore acquistò del suo pianeta:
E le parca che alla gentil donzella
Qui col pensier tornasse il gran poeta.
E la memoria rannodò felice
Degli affetti di Dante e Beatrice.
Il medaglione di Dante è bello, come belli mi apparvero i versi che lo riguardavano; meno felici lo scultore ed il poeta mi sono sembrati per Beatrice.
Nella stessa parete sulla destra, distante alcuni metri, è un pozzo il cui parapetto a facce di ottagono ha fatto dubitare potesse ia altro tempo essere stato al centro del cortile; nè io nego che non avrebbe potufo in quella ubicazione conferire al pittoresco del luogo, ma osservo che questa decorazione importante, composta oltreché della parte accennata, di due colonne con capitelli simili a quelli degli archi, e legata da un architrave con lo stemma di Portinari, ha l'architrave stesso lavorato sopra una sola faccia, giacché sull'altra è ancora greggio, segno certo che l'insieme non fu fatto per servire ad una decorazione isolata. Lo stemma che qui si vede, si direbbe scolpito dalla stessa mano di quello che i Portinari fecero apporre sul tergo dello spedale fondato da Folco, e che si vede tuttora sulla via dell'Oriolo. La cornice che lo sovrasta è simile alla caratteristica che orna l'architrave della porta della chiesa di Sanf Egidio.
Gli intercolonni, compresi quelli del verone, strana a dirsi, erano stati tutti chiusi da mattoni e ridotti a domestici usi dal Cav. Guido Giuntini, quello stesso che tanto aveva fatto per venire in chiaro del possesso
degli Alighieri promettendo di conservarlo gelosamente al culto delle patrie memorie!!
Oggi, abbattuti questi ostacoli e con religiosa cura ogni intonaco ed ornato posticcio, i benemeriti proprietari e gli egregi architetti Tito Bellini di Firenze e Paolo Hentschel di Berlino hanno reso alla luce la primitiva decorazione delle aitate e mura del chiostro: reso palese che i rovesci degli archi erano a cunei bianchi e neri, le loro ghiere e le sovrastanti pareti a riquadrature a graffito. Né questo solo benefizio è
resultato dalla felice operazione; giacché oggi avendo ricercato anche sotto gli intonachi delle arcate dei Portinari ed altrove è comparso parte del genuino possesso degli Alighieri, che si può affermare avere avuto un cortile più piccolo del presente, decorato da bozze a intonaco su faccia piana, le cui divisioni lineari erano a bianchi rilievi; che dalla parte di tergo, la casa era cinta da muro merlato, e da torre e mi pare che basti. Contento di aver veduto resultati così felici, certo che la riparazione sarà per ogni rispetto lodevole, ne uscii, non senza desiderio di tornare a rivedere la facciata nella quale mi pareva aver trascurato
qualcosa; e difatti mi accorsi alla prima che per la manìa di osservare con preferenza le cose d'arte, avevo trascurato nulla meno che la memoria che vi si legge:
IN QUESTA VILLA DI CAMERATA
CHE FU DEGLI ALIGHIERI
POI DEI PORTINARI
AD ONORAR LA MEMORIA
DEL DIVINO POETA
E DELLA SUA BEATRICE
IL COMUNE DI FIESOLE
Q. L. P.
IL XIV MAGGIO MDCCCLXV
Ma non mi vi fermai gran che, per tornare ancora a riguardare le finestre e lo stemma squisito; le une disegnate, l'altro forse eseguito, dalla mano di quel famoso intagliatore, scultore e architetto Antonio
Giamberti detto il San Gallo, che operò in Firenze ed in Roma, insieme al fratello Giuliano, tante e così pregevoli cose.
(1) Il passaggio avvenne il 16 maggio di quell'anno per i rogiti di un tale Ser Salvi di Dino.
(2) Il contratto ebbe luogo per i rogiti di Ser Lorenzo di Vivaldo.
(3) lo credo che lo facessero fare i Bellacci che tennero il possesso pochissimo, e che il proprietario successivo lo abbia fatto cassare. Lo stemma dei Bellacci aveva il campo verde traversato diagonalmente da una banda d'argento caricata da tre rose rosse.
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