Ponte alle Grazie
e le sue Casine
Luigi Passerini, Curiosità storico artistiche fiorentine scritti di Luigi Passerini, Firenze, Stefano Jouhaud, 1866
Mentre il martello demolitore va atterrando ad una ad una le casette che avevano per fondamento le solide pigne del ponte alle Grazie, credo opera non disutile affatto di ripetere le memorie che a quegli edifizi si riferiscono; e dissi appunto ripetere, perchè ben lungi da me è la pretensione di dire cose nuove.Il nostro più antico storico non controverso, Giovanni Villani (lascio in disparte il Malispini dopo la grave critica di Paolo Scheffer-Boichorst), ci narra al 1237 come, essendo podestà di Firenze il milanese messer Rubaconte da Mandello, si fece un ponte nuovo sull'Arno, e ch’egli fondò con sua mano la prima pietra e gittò la prima cesta di calcina; e che per lo nome della detta podestà fu nomato il Ponte Rubaconte.
Vuolsi che il celebre Lapo, il più illustre architetto dei tempi suoi, ne dirigesse la costruzione; e certamente fu il ponte lastricato fino dal suo principio, non essendo presumibile che in altro modo potesse volere quel da Mandello, il quale ebbe tra le cure sue principali che tutte le vie di Firenze si lastricassero. Sembra per altro che il ponte non avesse allora spallette, o che, seppure l’ebbe, fossero queste di legno, avendosi tra le pergamene dei Cistercensi nell’Archivio di Stato una carta del 13 giugno 1289, la quale contiene una riformagione, vinta nel consiglio speciale del Capitano e le Capitudini delle dodici arti maggiori, disponente che si conduca a termine il muro cominciato sul ponte di Rubaconte, destinando a tal uopo il denaro caduto per le confische nelle mani dell’Inquisitore della eretica pravità.
Nove furono gli archi del ponte in principio, e tanti erano quando, solo tra i ponti della città, restò in piedi con'poco danno in occasione della tremenda piena che di tanti guasti fu foriera a Firenze nel 1333; ma furono ridotti a sette dopo dieci anni, leggendosi in una provvisione del dì 27 aprile 1343, che si eleggono officiali super claudendo civitatem et perfìci faciendo murum qui claudere et capere debet duos arcus pontis Rubacontis juxta ecclesiam sancti Gregorii (la quale allora era alla coscia del ponte), recta linea versus Orientem per longitudinem usque ad dictam portam (la Porta vecchia di San Niccolò), et muro dicte porte applicavi faciendo. Item murum jam inceptum ab angulo sive cantu prime pile. Pontis Rubacontis recte versus murum Comunis juxta flumen Arni, ex opposito castri Altafrontis. Dalla qual provvisione sappiamo che nel 1347 si aprì la via dei Renai e si costruì il gran muraglione, ora demolito, detto delle Mulina, all'oggetto di chiudere i mulini nella città; e che si costruirono le spallette del Lung’Arno, che ora dicesi della Borsa: opere che, al dire del Vasari, ebbero per soprintendenti Giovanni pisano e Taddeo Gaddi.
Il ponte perse l’antico nome nel secolo XV per la devozione dei Fiorentini alla immagine di Santa Maria, che si appellò delle Grazie per i molti miracoli che se le attribuirono; la quale fu, come diremo a suo luogo, racchiusa in una chiesuola posta al principio di quello. Resistè a tutte le successive inondazioni, e quella soltanto del 1557 danneggiò molto le case poste sopra le sue pile dal lato d’oriente; e per rammentare le ulteriori vicende di esso, dirò come fu scemato di un altro arco nel 1868, quando fu necessario di costruire il nuovo Lung’ Arno.
I fatti storici che si riferiscono al ponte non sono pochi; ma di due principalissimi conviene tener conto; cioè della solenne pace che sul Renaio, a piè di esso, fu giurata tra i Guelfi e Ghibellini il 2 luglio 1273 per mediazione di papa Gregorio X, alla presenza di Baldovino imperatore di Costantinopoli e di Carlo di Angiò re di Napoli; e della eroica difesa che ne fecero i Bardi nel 1343, quando il popolo, debellati i grandi nelle altre parti della città, volle portarsi oltr’Arno a domare la superbia di quei potenti baroni. Mi basti citare questi due avvenimenti e non più, perchè di troppo dovrei diffondermi se tutti narrar volessi i fatti che al ponte si riferiscono.
La solidità del ponte provata nella piena del 1333 invogliò delle pie persone a edificarvi cappelle o a cercarsi romita stanza sopra di esso, com’erasi fatto sugli altri; non essendo cosa esclusivamente propria a Firenze l’uso nei penitenti di costruirsi delle celle sui ponti, dove più facilmente potevano ricevere da quei che passavano la elemosina necessaria al loro sostentamento. La più antica memoria di costruzioni fatte sul ponte di messer Rubaconte, è del 1347; ma dell’edifizio in quell’anno eretto diremo a luogo opportuno, sembrandomi necessario di procedere con ordine, rifacendoci dalla chiesuola di Santa Maria delle Grazie che tolse al ponte il nome che prima aveva. Esisteva in quel luogo un tabernacolo, dove un ignorato artista della scuola Giottesca avea dipinto a fresco una immagine della Vergine, per la quale il popolo fiorentino nutriva grandissima venerazione, narrandoci Franco Sacchetti che tanti erano i voti che dai devoti vi si appendevano, da rendersi necessario di staccarli quasi ogni giorno per dar posto ai nuovi che si offerivano. Giovanni di Antonio Mannini (famiglia estinta in Firenze nel 1630, ed esistente nel Friuli) chiese di erigere in quel luogo una piccola chiesa e ne ottenne il permesso per solenne riformagione: ma prevenuto dalla morte non potè farlo; e nel 1372 la concessione del Comune fu rivolta a favore di messer Iacopo di Caniccio degli Alberti. Morì l'Alberti pure dopo due anni, e l’edilizio non era costruito; pensò peraltro ad ordinarne nel testamento la edificazione, da farsi siccome un modello in legno che colle sue mani avea preparato.
Obbedirono i figli suoi, e la chiesuola era certamente già in piedi nel 1394, essendo di quell’anno il Breve del vescovo Onofrio per autorizzarvi la celebrazione degli uffici divini. Da quel giorno ad oggi fu la cappella di Santa Maria delle Grazie beneficata continuamente dalla famiglia Alberti; e Daniello di Giovanni la ricostruì in gran parte per riparare i guasti recatile dalla inondazione del 1557.
Della casa segnata (1 ) col numero 1 deve riportarsi la costruzione intorno il 1390, nel quale anno, per concessione avutane dalla Signoria, una devota donna nomata suor Apollonia, avea in quel luogo eretta una piccola cella dove conduceva vita eremitica. Vi dimorò solitaria fino al 1396, avendo allora soltanto consentito a farsi compagne due donne, una delle quali era bambina di pochi anni; e le tre infelici spinsero il fanatismo religioso a tal segno, da far murare nel 1400 ogni apertura del misero tugurio, non lasciando aperto che un piccolo pertugio dal lato del ponte per ricevere da quello il necessario al loro sostentamento. Ad esse si aggiunsero in breve altre compagne, talché si rese indispensabile di ridurre L’angusta cella a piccola casa, dove trovarono spazio sufficiente per farvi una cappellina bastante appena a contenere l’ altare. Erano già tredici, e vi dimoravano fra privazioni e sofferenze di ogni maniera, quando a Don Gomezio, abate della Badia fiorentina e riformatore dei monasteri della città, parve conveniente di sbrattare il ponte dalle romite e di trasferire le Murate in altro locale, che per esse appunto avea procurato nella via Ghibellina; dove andarono nel 1424, dandovi principio al celebre monastero che da esse prese poi nome. La casa restò in proprietà delle suore, dalle quali fu ridotta ad uso privato e conceduta in affitto da allora in poi.
Sulla pigna, ov’è lo stabile di numero 3, fu inalzato il più antico edifizio fatto sul ponte, almeno per quanto ho potuto conoscere dai documenti. Una Provvisione del 1347, annuendo alla istanza presentata da ser Andrea prete di Santa Caterina di Ripoli, gli diè privilegio di costruire un oratorio ad onore della martire Alessandrina sulla terza pila del ponte dal lato sinistro venendo da Santa Croce (2). Restò questo in piedi fino alla gran piena del 1557; ma essendo allora caduto, niuno curò di rialzarlo, e su quel suolo fu fabbricata una piccola casa.
Carcere volontario di una romita fu pure la casa segnata di numero 5; avendosi intorno ad essa una carta del 1373 che può leggersi nei protocolli di Ser Tino da Pulicciano, dalla quale si viene a sapere che Elisabetta di Simone, romita sul ponte Rubaconte, donò a suora Antonia di Lodovico, servigiale nel convento di San Giusto alle Mura, edificium domus heremitarum positum in populo sancti Remigli supra pontem Rubacontem, juxta oratorium Sancte Catharine situm supra pontem: il quale edificio non può esser che questo, perchè dall’altro lato di Santa Caterina non fu costruita veruna cella prima del 1390. Suor Giovanna da Castel San Giovanni pinzochera chiese alla Signoria nel 1347, e l'ottenne per riformagione vinta in tutti i consigli, di potersi costruire una cella su quella pila del ponte Rubaconte posta di faccia alla cappella di San Lorenzo per chiudervisi a vita penitente per tutto il resto della vita: ed il luogo è chiaramente notato per quello in cui sorse più tardi questa casa di numero 7, perchè sulla pigna corrispondente stava appunto l’oratorio di San Lorenzo.
Non ho precise notizie sullo stabile di numero 7, nè sull’altro segnato di numero 9, il quale nei tempi a noi più vicini fu patrimonio del Serristori, e studio un tempo dei pittori Morelli e Gherardi, ora demolito per dar posto per il nuovo Lung’Arno: ma certamente in uno dei due, e con maggior probabilità nel secondo, fu la cappella di San Barnaba, la quale di sicuro trovavasi nella parte orientale del ponte. Non ho poi dubbio veruno sulla storia della casa situata un dì alla coscia del ponte, faciente angolo colla via dei Renai, ed ora staccata affatto da quello, constandomi per documenti che quivi, intorno al 1370, eransi racchiuse a vita regolare alcune romite. Vi dimorarono fino al 1424, e ne uscirono quando l’abate Gomezio obbligò in quell’anno tutte le suore a sgombrare il ponte, perchè non tutte vi erano modello di castità e di penitenza; ed alle nostre destinò un piccolo convento fuori della porta alla Giustizia, alla Piagentina, che dedicò all’arcangelo Raffaello, dove stettero per oltre un secolo, uscendone nel 1529 quando fu demolito quel monastero per necessità della difesa. Ricoverate allora nel piccolo chiostro di San Clemente in via San Gallo, passarono dopo nove anni in un più vasto locale che fu ad esse donato dai capitani del Bigallo presso la porta di San Frediano, che vollero dedicato all’Arcangelo loro patrono: dove vissero tranquille fino al dì della soppressione voluta da Clemente XII per assegnare il loro non scarso patrimonio al nuovo Conservatorio dei poveri. La chiesuola unita al romitorio a piè del ponte alle Grazie rimase peraltro in piedi anche dopo la loro partenza col titolo di Santa Maria della Carità; e sappiamo che andò un tempo pregiata per una bella tavola di Raffaellino del Garbo. La restaurò un prete Giovambattista Masini nel 1712, decorandola di affreschi non belli eseguiti da Mauro Soderini: ed era proprietà dei marchesi Torrigiani allorquando fu demolita, or volgono appunto tre anni, nel 1871.
Meno fortunate sono riuscite le mie ricerche per l’altro lato del ponte, avvegnaché di soli tre stabili ho trovate certe notizie. Posso pertanto asserire che in quello portante il numero 2 nacque nel 1646 il celebre rètore e poeta Benedetto Menzini, vissuto e morto in Roma tra i canonici da Sant’Angelo in Pescherìa; che la casetta di numero 4 apparteneva nel 1414 a Bice moglie di Ambrogio da Radicondoli, quando la vendè alle suore murate dimoranti quasi di faccia perchè servisse di alloggio al loro cappellano e confessore, e che rimase loro proprietà fino alla soppressione del monastero.
Nel luogo in cui è posta la casa che ha il numero 8 fu già una piccola chiesa sacra al levita S. Lorenzo, che fu detta ancora di Santa Maria del Soccorso, perchè vi si venerava una immagine di Maria sotto quella invocazione. Demolitasi la chiesa fu la venerata immagine racchiusa in un tabernacolo, ed affissa alla parete esterna della casa che fu in quel luogo edificata, dove si vede tuttora.
Noto infine che gli agiologi accennano come in una casetta posta in questo lato del ponte e presso una delle sue estremità, nacque intorno al 1370 il beato Tommaso Bellacci Francescano (morto a Rieti nel 1447) da un genitore che quivi esercitava l’arte del macellaro.
(1) Vuol notarsi che le case segnate con numero dispari erano situate sulle pile del ponte volte a levante; quelle coi numeri pari dall’altra.
(2) II documento parla della terza pila che non è questa; ma l'oratorio fu qui senza dubbio, come può ritrarsi ancora dal Richa.
Luigi Passerini, Curiosità storico artistiche fiorentine scritti di Luigi Passerini, Firenze, Stefano Jouhaud, 1866
Passerini, Luigi (propr. L. Passerini Orsini dei conti Rilli). - Archivista, bibliotecario, erudito (Firenze 1816 - ivi 1877). Archivista nell'Archivio di stato di Firenze dal 1845, deputato nel 1861, quindi (1871-74) direttore della nuova Biblioteca Nazionale di Firenze, fu studioso della storia medievale fiorentina e autore di numerose, pregiate genealogie di famiglie fiorentine.​
Immagini e didascalie tratte del libro: Corrado Ricci, Cento vedute di Firenze Antica, Firenze, Fratelli Alinari, 1906
Il parapetto del fiume resta interrotto dalla Porticciuola d'Arno che si scorge di fianco, poco prima del Ponte alle Grazie. A destra la veduta si chiude col Palazzo Torrigiani. In fondo sorgono il campanile di S. Niccolò, Porta S. Niccolò e il colle con S. Salvatore e S. Miniato. — Il ponte, detto lungamente Rubaconte dal nome del Podestà che lo fece costruire tra il 1235 e il 1237, ebbe le sue singolari cappelle e casupole, edificate sui piloni, abbattute negli anni 1873-74 per l'allargamento del ponte stesso. A sinistra, venendo da via de' Benei, sorgeva prima la Madonna delle Grazie costrutta dagli Alberti nel sec. XIV; sul pilone vicino, dallo stesso lato, la cappellina e il conventello dov' eran vissute dal 1390 al 1424 le monache dell'Annunziata dette le Murate; sul seguente, l'oratorio di S. Caterina e, in fondo, l'oratorio di S. Maria della Carità presso al quale vissero le Romite del Ponte. Dalla parte opposta sul quarto pilone a destra, la Madonna del Soccorso. In seguito, parte di questi oratorii furono convertiti o sostituiti da semplici casette o botteghe. Nella veduta che pubblichiamo, il ponte, ora di sei archi, appare di sette, perchè la costruzione del Lungarno a sud condusse a chiuderne uno, mentre altri due erano stati chiusi anticamente e sottostanno a Piazza S. Gregorio ora dei Mozzi. E abbattute e trasformate furono le case che oggi costituiscono il Lungarno Serristori e mutato sino il profilo del colle pei lavori del Piazzale Michelangelo e delle Rampe.
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