Quando il «Selvaggio West» giunse a Firenze/2

​Quando il «Selvaggio West» giunse a Firenze/2
di William Urban 
 

"In un'altra tenda si trova il dottore, Mamma Wittaker, anch'ella proveniente dall'Ovest. Non v'è medico che possa persuadere gli indiani a prendere una medicina se prima non l'ha detto lei. Qualunque cosa ella dica è giusto. La sua tenda è piena di purganti.
Entrai poi nella tenda di William Levi Taylor, Re dei Cowboys. Egli viene dal Texas. Sostiene che suo nonno e suo zio furono uccisi nell'assedio di Alamo. Altri suoi parenti perirono nelle battaglie per assicurare la libertà al Texas. La sua famiglia venne decimata in quella guerra. Io parlai dei «vaqueros». Il nome indica forza sovrumana ed è molto appropriato. Si dice che quando beve troppo whiskey sia meglio girargli al largo.
Domani andrò allo spettacolo.
Tuttavia non vi furono articoli sullo show. Il giornalista venne distratto dall'epidemia influenzale e dalla politica locale. Quindi limitò i suoi commenti col dire che vi fu «una folla enorme.» 
E' possibile ricostruire lo schema del programma dagli annunci pubblicitari e da altri spettacoli presentati dalla compagnia.
Secondo gli annunci fiorentini, «La Compagnia Americana» del «Buffalo Bill's Wild West» presentava 100 indiani e 100 pistoleri, cacciatori, cowboys e cavalieri. C'erano anche molti cavalli, bisonti, vacche e muli. C'erano biglietti per ogni tasca (da 1 a 5 lire), i migliori posti davanti al centro con vista panoramica dell'enorme arena (600 piedi x 400) (N.d.T.: circa 180 metri x 120) e il gigantesco sfondo con dipinte le montagne del West americano. Senza dubbio il maestro di cerimonie italiano aprì il programma con un breve discorso simile a quello che Cody stesso fissò cinque anni prima che enfatizzava la genuinità della performance.
Poi seguiva un corteo in parata, introdotto da Buffalo Bill e dal suo famoso cavallo, e quindi l'inizio del Wild West: corse tra indiani a piedi e cavalli, e l'uccisione di Mano Gialla da parte di Buffalo Bill. Spesso lo show offriva ricostruzioni di famosi eventi del West, frequentemente utilizzando gli autentici protagonisti (Little Big Horn, per esempio, proponeva metà del cast originale). E finalmente arrivavano le esibizioni di tiro e rodeo. Buffalo Bill spesso si esibiva in giochi di abilità con le armi insieme ad Annie Oakley.
Una delle esibizioni preferite era la rapina alla diligenza di Deadwood. E, come era sua abitudine in ogni altro luogo, egli ottenne che i notabili fiorentini montassero sulla diligenza durante la performance. Nel secondo giorno dello spettacolo, unica esibizione menzionata sul giornale, i fortunati furono il Conte Fabbricotti e un eccentrico milionario inglese di nome Frederick Stibbert, fondatore di uno dei più grandi ed insoliti musei di Firenze. (Lui e Buffalo Bill dovettero avere un'interessante conversazione sulle armi, poiché Stibbert possedeva una delle più belle collezioni di spade, armature e armi da fuoco al mondo.) C'era una pioggia fitta, ma partecipò comunque un vasto pubblico.

Le inserzioni pubblicitarie sul giornale non furono mai ampie, ma ogni giorno diminuivano di dimensioni, finché il 19 Marzo lo show finì sulla lista dei "Teatri" con solo tre righe ad avvisare che l'ultima rappresentazione si sarebbe tenuta il 20 (e non il 21 come precedentemente annunciato). Ma forse le inserzioni non erano necessarie. Per allora si era sparso il passa-parola intorno alle notizie sul fantastico show americano. E il 19 apparve il seguente articolo, che rifletteva l'impatto che gli indiani avevano avuto sui solitamente sofisticati fiorentini.
Ieri sera alcuni indiani della compagnia di Buffalo Bill vennero in città, entrando in una negozio di stoffe di Via Calzaiuoli circa alle otto. Costoro lamentavano che anche se ci fosse stata la Regina di Serbia a Firenze, essi non potevano entrare in una bottega senza radunare una folla. Ieri sera, invero, centinaia di persone si affollarono fuori dalla bottega dove si trovavano gli indiani. Non esagero. Un filobus dovette arrestarsi poiché la strada era bloccata. Quando gli indiani vennero fuori, vi furono grida di giubilo. La moltitudine continuò a camminare con loro. E quando essi giunsero a Porta alla Croce, erano alla testa di diverse centinaia di persone.

Pur portando ai fiorentini un assaggio di cultura esotica, gli americani non provocarono nessun profondo cambiamento nel loro modo di pensare o agire. Anche oggi gli italiani non amano molto i "nobili selvaggi" o la natura incontaminata. Gli italiani sono così civilizzati che i crimini sono molto rari, particolarmente i crimini violenti. (La Mafia è siciliana, ha poco rilievo sul continente, e divenne importante solo in America.) La cultura indiana che celebrava solo la guerra e la caccia, e non aveva pittura, musica o letteratura degne di menzione, non aveva niente da insegnare agli italiani. Il giornalista de "La Nazione" che si trovò a citare gli indiani da allora in poi, li additò sempre come un orribile esempio di barbarie. Mentre la compagnia di Buffalo Bill era ancora a Firenze, scrisse un editoriale denunciando le condizioni dell'Spedale degli Innocenti che era stato devastato dall'epidemia influenzale. Terminò il suo intervento, dicendo: "Scommetto che i Pellerossa, accampati sui Prati della Zecca, e obbedienti a Buffalo Bill, non crederebbero a cose del genere. Siamo noi i veri Pellerossa della civilizzazione, una falsa civilizzazione, una civilizzazione orribile." Un orfano morì il giorno dopo -- un lamento lontano da ciò che stava accadendo nelle riserve in quel preciso momento, dove gli indiani venivano radunati come bestie in condizioni innaturali ed insane e dove la vita sembrava senza più scopo. Per queste ragioni, gli indiani della compagnia erano più felici di quelli rimasti in patria. Erano ben pagati; vivevano come nomadi nelle loro tende; erano rispettati; e si sentivano utili. La loro vita aveva uno scopo. Il console americano a Berlino, dove la tournée diede uno show a Luglio, commentò: “Sono certamente gli indiani più belli e apparentemente meglio nutriti che si siano mai visti.”

I fiorentini non solo non impararono dai loro visitatori niente di più di quanto questi appresero di loro, ma se ne burlarono addirittura (proprio come fecero gli indiani delle guardie svizzere del Vaticano). Ma non in loro presenza. Erano troppo educati e prudenti. Ma lo fecero tipicamente alla fiorentina -- in maniera professionale e fantasiosa. Il 31 Marzo, una decina di giorni dopo che la compagnia si era spostata più a nord verso la Lombardia e poi in Germania, la Corporazione degli Attori diede una pubblica rappresentazione di «Pecoro Bill». Dato che il teatro moderno era nato e cresciuto a Firenze, possiamo presumere che la parodia fu abilmente realizzata. Proprio come il «Buffalo Bill's Wild West» aveva aperto il suo spettacolo con una parata, Pecoro Bill aprì con una presentazione della compagnia. Gruppi di attori uscirono vestiti da indiani e messicani, con costumi così accuratamente replicati che il pubblico ne fu deliziato. Ci fu anche un assalto alla diligenza e una buffa imitazione di Buffalo Bill.​
Il giornalista de «la Nazione» assistette al secondo spettacolo e scrisse alcune pesanti battute egli stesso:
"Gli artisti sanno come ridicolizzare, e a ognuno piace metter la gente in parodia, farsi gioco e persino condannare persone di qualità, coloro le quali sono superiori ad altre. Il genio deve rassegnarsi a questo. Chiunque manchi di quel tipo di genialità è fortunato, poiché non conoscerà quell'inesprimibile tortura. Ma gli artisti dell'associazione dei comici dimostrarono buon gusto, versatilità e un'inesauribile vena umoristica nella loro accurata parodia di Pecoro Bill. Dunque meritarono l'applauso del colto, intelligente, ed elegante pubblico che è quello di Firenze. E da notare un'altra novità. Tutte le statue del teatro furono rivestite.
Anche se ne burlarono, i fiorentini non dimenticarono il «Buffalo Bill's Wild West». 

Nel 1974 un fiorentino raccontò di una presunta gara tra i suoi cowboys e i butteri della Maremma che sembra si fosse risolta in una sconfitta degli americani. Anche se nessuna cronaca di ciò poté essere trovata, non è impossibile che una simile gara possa essersi tenuta, perché c'erano solo quattro regioni al mondo che potessero produrre cavallerizzi in grado di sfidare i cowboys e i vaqueros americani - l'Argentina, il Sud Africa, la Russia centrale e la Maremma a sud di Firenze - tutte aree con tratti geografici simili e una cultura dell'allevamento del bestiame. Firenze è ancora un posto in tutta Europa dove si può mangiare una bistecca decente. Ma probabilmente non ci fu nessuna gara. Più verosimilmente, si faceva riferimento alla sfida lanciata a Roma dal Principe di Teano. Dubitando che i cavalli selvaggi di Cody fossero davvero selvaggi, il principe aveva sfidato i cowboys a domare due dei suoi famosi stalloni gaetani. Pensando che i cowboys avrebbero fallito, e anche che qualcuno degli spettatori potesse restare ferito, allineò dei carri lungo l'arena per tenere indietro la folla. Naturalmente, occorsero solo pochi minuti ai cowboys per domare gli stalloni e la loro fiera reputazione.
Ciò che Cody fece fu stimolare un interesse nell'America che era rimasto latente fin dal 16° secolo. Era stato un italiano a scoprire l'America, e i continenti avevano preso il nome da un fiorentino (Amerigo Vespucci). Ma l'iniziale interesse morì quando truppe straniere occuparono l'Italia, un dominio straniero che resistette fino agli anni della Guerra Civile Americana. Di conseguenza solo ora gli italiani ricominciavano a pensare ad altri paesi.
Un aspetto dello show di Cody, i selvaggi esotici, forse incoraggiò il desiderio degli italiani di conquistare selvaggi esotici tutti per loro. Successivamente il colonialismo italiano mosse i primi esitanti passi verso l'Etiopia e ne risultò una sconfitta anche maggiore di quella di Little Big Horn.
Un altro aspetto, quello del romanticismo del West, emerse in seguito nell'opera di Puccini, «La fanciulla del West». Puccini, nato vicino a Firenze, viveva a Milano in povertà e considerava la possibilità di emigrare in America; non lo fece e nel 1907 adattò il dramma di successo di Belasco in un'opera lirica. Caruso fece il suo debutto nel ruolo del protagonista al Metropolitan di New York nel 1910.
Un terzo aspetto fu l'immigrazione. Molti italiani videro che uomini coraggiosi ed abili potevano arricchirsi in America, dove le terre erano ancora apparentemente deserte. Presto gli immigrati italiani passarono da praticamente zero a centinaia di migliaia all'anno.
In ultimo, Buffalo Bill stimolò l'immaginazione. Il meraviglioso talento inventivo degli italiani creò un West più violento, più eccitante (se possibile) di quello realmente esistito. Il Selvaggio West passò direttamente da Buffalo Bill a «Per un pugno di dollari».
 

la scritta pubblicitaria Dacché sono in Italia perfino il colonnello Buffalo Bill ed i suoi luogotenenti bevono Cinciano perché è la migliore acqua minerale da tavola
 

Buffalo Bill fa la Dolce Vita

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