Schiavitù a Firenze nel XVII secolo
La schiavitù a Firenze nel XVII secolo era una realtà complessa e intrigante. La concessione della libertà di culto a Livorno, estesa agli Ebrei, Turchi, Armeni, Orientali, Inglesi, Olandesi e altri protestanti, insieme alla franchigia del porto, contribuiva alla prosperità dell'emporio commerciale.
Un esempio di tolleranza emerge dal racconto di un giovane marchese di Seignelay, che nel 1671 visitò Livorno e testimoniò la vita sontuosa di Cheri-Bey, un Turco con un harem, ospitato dal Granduca.
Tuttavia, la tolleranza e la mitezza toscane non impedivano delitti atroci, evidenziati da un cadavere di un Turco trovato nel fiume d'Arno nel 1689. Ciò suggerisce che, nonostante la governabilità e la cultura toscana, si verificavano brutali episodi. Nel secondo semestre del Seicento, a Firenze, esistevano schiavi e mercanti li trasportavano per la vendita, con tasse ancora applicate su questa merce umana.
Documenti confermano l'esistenza degli schiavi a Firenze nel tardo XVII secolo. Il Granduca ricevette schiavi come regalo, e nel 1687, dall'imperatore, ebbe centocinquanta Turchi. Alcuni di loro furono venduti a Viareggio nel 1677. Questi schiavi erano destinati alle galere del granduca, suscitando compassione anche dopo due secoli. Naufraghi di navi barbaresche erano incatenati e venduti.
Nel 1677, dieci Turchi furono venduti a Viareggio per L. 5786, confermando la persistenza della schiavitù come forza motrice delle galere. Anche se i documenti non indicano un impiego domestico degli schiavi, il dono di una schiava mora al Fedi suggerisce che la schiavitù domestica persisteva nel declinante Seicento.
Contrariamente alla percezione comune, la schiavitù non scomparve nel Seicento ma continuò nella seconda metà del secolo. La schiavitù domestica, seppur eccezionale, era presente nel XVII secolo, come dimostrato dai casi documentati. La schiavitù non era limitata alle galere, ma era diffusa in diverse forme nella società fiorentina.
Le leggi che cercavano di regolare la moralità erano inefficaci, rendendo la condizione delle donne traviate sempre più abietta. Le donne perdute erano trattate come cani, sepolte lungo le mura di Firenze. La religione offriva redenzione solo se le donne si pentivano e si ritiravano in un monastero delle Convertite, un destino che faceva eco alla peccatrice menzionata da San Luca.
Gaetano Umbert, La Vita Fiorentina del Seicento, FI, R. Bemporad e Figlio, 1906.
La gente era attenta all'abbigliamento in pubblico, dimostrando orgoglio e dignità. La generosità era comune e le famiglie erano unite da amicizia.
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