Cenni storici su Pratolino
Quando e come scomparvero le opere meravigliose del R. Parco.
Cenni storici
Gigante dell'Appennino
Grotta di Cupido
Il secolo di Leone X fu secolo grande per le lettere e per le arti italiane. I toscani devono sempre rammentarlo con orgoglio; e noi fiorentini particolarmente, mentre dobbiamo provare un senso pietoso pensando alle sciagure onde furono afflitti gli avi nostri per le mire ambiziose, per le bramosie tiranniche, e per le scostumatezze oscene da cui derivò in massima parte la celebrità dei Medici, abbiamo il dovere di riconoscere come dalle insaziabili passioni di loro sorgesse tanta gloria d'arte fiorentina dinanzi alla quale s'è inchinato tutto il mondo.
Un Medici, Francesco I, secondo Granduca di Toscana (1), la cui corruzione è scritta nell'istoria con caratteri indelebili, accordò valida protezione all'Accademia Fiorentina, dette a Firenze la celebre Accademia della Crusca, aggiunse codici nuovi alla Laurenziana, fece sorgere la lavorazione delle gemme e delle pietre dure (2), e sotto gli auspici suoi fu terminata la R. Galleria degli Uffìzi, cominciata da Cosimo suo padre, la quale arricchita di mano a mano dai sovrani successori, pervenne a tanta rinomanza da farsi reputare la più celebre d'Europa.
Aveva Francesco magnifici palazzi e ville magnifiche, ma ciò non bastando a saziare la sua passione del gran lusso, immaginò la più splendida, la più maestosa e comoda villa che potesse​ bramare un regnante del suo tempo. Per suo maggior diletto la volle in luogo alpestre, dove nella più cocente estate regnassero l'aure deliziose di dolce primavera: scelse però la posizione di Pratolino, e quivi, come per incanto, sorse la real Villa con tutte le altre fabbriche annesse di cui stiamo per parlare.
Resta Pratolino distante sei miglia da Firenze, andando di fuori alla porta S. Gallo, appiedo delle montagne dove comincia l'Appennino, cioè sul piano orientale del Monte Uccellatoio, alquanto a destra della regia strada per Bologna, situato ad un'altezza di circa 750 braccia sopra il livello del Mediterraneo; il poetico Mugnone lo lambisce alle falde e ne solca la vallecola. Il luogo è montuoso, è salvatico per natura, l'aere ne è saluberrimo e soave; nei grandi ardori estivi la primavera vi si gode con tutto il benefizio de' suoi balsami.
Questa contrada si chiamò in antico Festigliano, e come prendesse il nome di Pratolino bisogna congetturarlo dalla circostanza che accosto a Festigliano esisteva un prato e la selva, che si disse selva regia (3). Sino dal secolo decimoprimo conobbesi Pratolino regio dominio, o corte di Festigliano; i sovrani​ d'Italia lo donarono ai vescovi di Fiesole, cui venne dipoi confermato dai pontefici Pasquale II, nel 1103, e da Innocenzo II, nel 1134.
Alla metà del secolo decimosesto, stava la regia selva in possesso di Benedetto Buonaccorso Uguccioni, il quale ne fece vendita a Francesco I de' Medici, mediante la somma di tremila scudi, come rilevasi da relativo contratto 15 settembre 1568, dove si denominano tre contigui poderi primo il Ghiaia, secondo il Cerro, terzo Pian di Lorenzo, con in oltre tutte le appartenenze spettanti
alla possessione di Pratolino posta nel popolo di S. Cresci a Maciuoli, Lega di Tagliaferro, Podesteria di Scarperia (4).
E non altro che per incanto o per miracolo, sarebbero sorte le fabbriche, se pensiamo che nel 1569 si ammiravano splendenti di tanta bellezza da ispirare poemi (5). Impresa così straordinaria​ per le tante meraviglie delle quali andò ricolma, fu degna soltanto di quel principe insaziabile degli agi, e degli splendori d'una corte da grande sovrano: volle che la selva gli fosse trasformata in Olimpo, e ciò fatto ei vi si fissò quale novello Giove. Di tutte le costruzioni dette i disegni e ne assunse la direzione l'architetto Bernardo Buontalenti (6), unitamente al quale lavorarono gli artisti più famosi che allora ospitasse la capitale dell'Etruria, e se ne chiamarono eziandio di fuori. Scrisse il Baldinucci (2) d'aver trovato in ricordi​ degni ogni fede, che questa regia fabbrica con suoi annessi costò sino a settecento ottanta duemila scudi, e col Baldinucci altri ripeterono la spesa nei termini medesimi. Il Settimanni rende noto ancora che tale spesa fu fatta sino all'anno 1585.
Con ogni debito rispetto vogliamo accogliere l'asserto fornito dal celebre biografo e confermato dall'erudito cronista; ci sia lecito nondimeno di supporre che in tal cifra spesa per Pratolino dal 1568 al 1585 non venga compreso l'incalcolabile valore dei marmi allora digià proprietà dello Stato, e tanto meno il valore indeterminabile delle statue ed altre preziose opere antiche che i papi mandavano da Roma in dono ai granduchi, Cosimo e Francesco, con poca soddisfazione del popolo romano (8), non poche delle quali crediamo di poter credere che andassero ad ornare Pratolino.
Oltre a ciò vediamo il succedersi delle cose nuove sino ai secolo decim'ottavo; così l'idea che ebbero i nostri predecessori di far conoscere il costo di Pratolino, vorremmo noi qui seguirla con esattezza maggiore, ed a tale uopo buona parte dell'Archivio Mediceo è là, nell'Archivio di Stato, capace a fornirci molti e molti ragguagli di non lieve interesse sopra l'importantissimo argomento, mai documenti elicaci ad accertare, a precisare ciò che Pratolino può essere costato alla Toscana, anche in un'epoca determinata, inutilmente gli cercheremmo in quale siasi luogo (9). Onde senza stare a discutere sull'ammontare dei tesori profusi nella celebre regia Villa posta appiè dell'Appennino, d'uopo è concludere che l'intrapresa della medesima rammenta il lusso dei Romani antichi, e che nel decimosesto secolo un Principe Mediceo solamente ne la potea inti'aprendere senza provarne il menomo
rimpianto.
Nel lusso di questo Principe, come in quello della maggior parte de'suoi consanguinei, entravano motivi che qui giova tacere, ma intanto, per sì segrete molle, il genio dell'arte fiero aleggiava, ed era non altro che l'arte Etrusca.
Gli scrittori contemporanei, cominciando dal già nominato Gualterotti, fecero a chi più altamente cantava in versi ed in prosa, le opere meravigliose di Pratolino: il detto componimento del Gualterotti, è un componimento breve, diviso in quattro stanze, ciascuna chiamata vaghezza, tutte uguali alla presente che è la prima:
Sovra le belle sponde
Del famoso buglione, e lieti e fidi,
E riposati lidi
Han le Grazie, e Amore; ivi le fronde,
Ivi mormoran l'onde,
E destan l'aure un'armonia si dolce,
Ch' ogn'altra vince, ogni cor aspro addolce.​
Torquato Tasso, nelle rime, celebrò Pratolino con tre madrigali, una delle quali è questa:
Dianzi all'ombra di forma occulta e bruna,
Quasi giacesti, Pratolino, ascoso;
Or la tua donna tant'onor t'aggiunge,
Che piega alla seconda alta fortuna,
Gli antichi gioghi, l'Appennin nevoso
Ed Atlante ed Olimpo ancor si lunge;
Né confin la tua gloria asconde e serra,
Ma del tuo picciol nome empi la terra.
Palla Rucellai, poeta fiorentino, compose un'Egloga pastorale ed una Canzone in lode di Pratolino, composizioni rimaste inedite sinora e pubblicate l'anno scorso dal Signor Giuseppe Baccini, insieme ad uà Capitolo d'autore anonimo che ha per oggetto di descrivere la regia villa colle meravigliose opere, e che vien dato per contemporaneo alla costruzione delle medesime (10). Un altro poeta fiorentino, Cesare Agolanti, dette in ottava rima la Descrizione dell'Amenissima R. Villa di Pratolino, con una dedica in prosa a Francesco I (11), e finalmente un altro anonimo, ai predetti posteriore, scrisse Pratolino delizie delle Altezze Serenissime di Toscana, in occasione delle nozze del Gran principe Ferdinando de' Medici con Violante Beatrice di Baviera (12).
Tutti questi poeti fanno apoteosi esagerate alle virtù immaginarie dei Serenissimi Principi, da cortigiani devoti ed umili, siccome l'epoca imperava, ma non descrivono le opere miracolose create dai miracolosi artefici; e tanto meno si curano di tramandare ai loro posteri la paternità di tante creazioni che precisamente furono dichiarate miracoli dell'Arte.
Quanto ai prosatori contemporanei conviene anzi tratto far tesoro di messer Francesco de' Vieri detto il Verino, che in fatto di cortigianeria forse al disopra di ogn'altro com'aquila vola, ma che con ordine ben superiore ne tesse i suoi Discorsi sulle opere meravigliose di Pratolino i quali discorsi vennero pubblicati nel 1587. Dalla rivelazione delle meraviglie che nel 1569 constatava il​poeta Gualterotti colle Vaghezze alla pubblicazione dei Discorsi di messer Verino, passano diciott'anni di differenza, il che rende assai malagevole lo stabilire se tra le descrizioni in prosa spetti al Verino la precedenza, od all'anonimo del Baccini. Su tale incertezza, che del resto al soggetto non nuoce per nulla, noi possiam tralasciare di discutere. Quella a cui ci dobbiamo principalmente attenere si è che il Verino, mentre dice d'aver tutto veduto in un sol giorno, dice altresì d'aver parlato coll'architetto Bernardo Buontalenti e con suo figlio Francesco; e ben si vede che nulla gli sfuggì dall'attenzione, che su tutto domandò i necessari schiarimenti, prendendo per filo e per segno le sue buone note sopra ogni cosa. Talché il Baldinucci, laddove nella vita del Buontalenti va parlando di Pratolino, s'astiene «dal descrivere tante cose da lui mentovate, perchè sono ben note a tatto il mondo, e perchè ne va attorno una descrizione del Verino.» Ed il Moreni dice che «il Verino fu contemporaneo alle opere di Pratolino, e che la sua descrizione è fedele.» Non rimane adunque che da sapere se al Moreni nel compilare l'importante ed estimata sua Bibliografia della Toscana sfuggisse nelle ricerche il manoscritto dell'anonimo pubblicato dal Baccini, s'egli credè inutile di tenerne conto; ipotesi anche queste sulle quali discutendo non se ne caverebbe alcun vantaggio. Senonchè, messe a confronto le due descrizioni, vediamo come l'anonimo del Baccini tanto amore professa per la brevità, che quasi a mezzavia passa in rassegna le opere di Pratolino; il Verino, al contrario, abbonda tanto di prolissità su quello che descrive, da stancare la pazienza di San Giobbe a forza delle congetture e delle definizioni che gli occorre immaginare, per sublimare le virtù del Serenissimo Francesco suo Padrone e Signor suo. Il Baldinucci, un secolo dopo di loro, ci reca delle notizie piii importanti intorno alle opere meravigliose, perchè nella vita di ciascun professore del disegno che arrecò decoro ed ornamento a Pratolino, ci fa generalmente conoscere le singole opere colà eseguite fino al suo tempo.
E nella vita del Buontalenti parlando partitamente del palazzo, nota con fino accorgimento che l'insigne architetto ne «costituì la pianta con tale artifizio, che non contenendo in sé ne cortile, né loggia, altro vuoto, percui comodamente ogni architetto provvede i suoi edifizi dei necessari lumi, con tutto ciò nell'alzar la fabbrica fece vedere non solo ogni appartamento, ma eziandio ogni stanza
col suo lume vivo, e senza che l'una dall'altra avesselo a procacciare.»
Alcune particolarità ci vengono dipoi fornite da Monsignor G. Bottari (13), e da qualche altro​ scrittore del secolo decim'ottavo, ma una descrizione più completa, e più dettagliata delle opere di Pratolino, ci vien fornita senza dubbio dall'architetto Sgrilli nel 1742(14). Egli ne la intraprese sembrandogli che a questa villa «convenisse il primato tra le ville magnifiche che per diporto dei reali sovrani nella Toscana si vedono,» e perchè era stata di molte cose arricchita dalla magnificenza del Gran principe Ferdinando de' Medici, mentre altre aveva deperite il tempo, oppure le aveva tolte addirittura; ma dice d'averla soprattutto intrapresa perchè gli scrittori a lui precedenti avevano narrate le cose dopo averle viste alla sfuggita ed in confuso; onde «ho creduto bene, egli conclude nell'avvertenza, di provvedere a tutto quello in cui avevano essi mancato, con darne una più fedele notizia, essendone io appieno informato per aver goduto l'onore d'accudire all'azienda delle molte possessioni; onore avuto ancora per molti anni da miei antenati (14).» E se le continue occupazioni non glielo avessero impedito, non si sarebbe limitato, l'architetto Sgrilli, a presentare solo le cose esterne, ma le interne ancora avrebbe fatto vedere, cioè, «gli occulti artifizi, le nascose ruote, gl'infiniti rigiri che fa l'acqua, per mezzo di cui le molte figure che nelle varie lontane si trovano, hanno il lor moto. . .»
A questo proposito dei meccanismi e degli ordigni che fa acqua fanno rappresentare cose stupende ed incantevoli, e particolarmente dicendo degli strumenti che suonano col di lei moto, assicura il Baldinucci che «hanno preso motivo d'imitarle coloro che per l'Europa simili cose operarono.» E per le stesse meravigliose rappresentazioni d'acqua, il più celebre filosofo della Francia, il de Montaigne (16), dichiarò miracolose le grotte di Pratolino.
Come si vede, la fama di Pratolino era per le sue bellezze ben propalata anche prima dello Sgrilli, «sì che gli stranieri venivano ad ammirarlo dai paesi più lontani;» ma lui corredando il suo lavoro descrittivo di belle notizie che ragguardevolmente aumentano anche quelle di già fornite dal Baldinucci e da altri, è certo che se non in tutto, ha riparato in parte a quanto era necessario di sapere; ed ha inoltre aggiunto alla importanza delle descrizioni, quella delle piante grafiche e delle vedute del palazzo da lui stesso
eseguite, che insieme a quelle fatte dal celebre incisore Stefano della Bella formano un albo preziosissimo delle magnificenze universalmente ammirate a Pratolino. Sarebbe stata desiderabil cosa e molto lodevole, che all'opera dello Sgrilli altri avesse
fatto premurosamente seguito, sempre più avvantaggiando in quelle notizie che sono reclamate dalla storia dell'arte e dell'archeologia, ma disgraziatamente in un altro scrittore più o meno versato in tal materia, s'occupò di poi per un pezzo delle meravigliose opere di Pratolino.
Nel principio del nostro secolo soltanto, 1801 - 1803 comparve il Viaggio Pittorico della Toscana, scritto dall'abate Francesco Fontani (17) che consacra, conforme l'indole dell'opera, una monogralìa alla R. Villa di Pratolino, compendiando lo Sgrilli, ed attingendo ancora qualche cosa da altri, per così afìermare sommariamente quel ch'era già stato descritto. Né manca di ricordare, il Fontani, essere impossibile di farsi un'adeguata idea di tanta magnificenza senza vederla, e che «lungo soggetto di ragionamento sarebbe il volere ad uno ad uno individuare i pregi delle pitture, delle sculture, delle pittare grottesche, dei mosaici, ed altre siffatte cose che colpiscono l'occhio dello spettatore, e conviene dire che qui l'arte​ ha saputo cosi bene imitare la natura da fare la più sorprendente illusione: così al vero sono gli uomini, gli animali di molte specie, gli alberi, i tronchi, le foglie, ed ogni altro prodotto della natura che qua si trova bellamente imitato: i meccanici più eccellenti, e gli artisti più periti, pare che, gareggiassero tra loro a raggiungere la perfezione, e giunsero certamente a tanto da rendere immortale il loro nome. Gli antichi maestri dell'ottima architettura, nulla troverebbero che non fosse onninamente conforme ai precetti i quali dettarono per bene e decorosamente condurre una fabbrica ad uso di campestre e delizioso soggiorno.»
Contemporaneamente all'abate Fontani scriveva il Rosini, e fece nella Signora di Monza un vero gioiello letterario introducendo i suoi storici personaggi del secolo decimosettimo nel R. Parco di Pratolino, mettendolo a ragione fra le meraviglie del mondo, mentre descrive la statua dell'Appennino, le sei grotte principali ed il viale delle fontane; ma l'indole, e la forma del suo mirabile romanzo non gli potevan permettere di descrivere ogni cosa, epperciò lascia nel silenzio quella gran parte di opere che storicamente parlando hanno per noi non meno grande importanza (18).
Per quel poco che gli scarsi documenti esistenti nel nostro R. Archivio di Stato ci concedono rinvenire sulla vandalica condotta degli ultimi Granduchi Lorenesi a riguardo di Pratolino (19), si può stabilire che sino dal 1819 desiderò Ferdinando terzo «di dare un nuovo destino ai due separati antichi parchi, riducendoli ad un solo recinto, e sopra il sistema dei parchi inglesi; ed avendo a tal'effetto chiamato dalla Boemia l'ingegnere Giuseppe Frichs perchè giien'eseguisse il lavoro, estese questi tant'oltre le proprie idee, da non bastargli, per isvolgerle, i due indicati recinti; per questo andò ad occupar boschi e campi, togliendogli alla fattoria per includerli nel parco nuovo, il perimetro del quale si trova ora tutto ricinto di muro, in calce, conforme V. A. R. e I. (20) ha potuto riscontrare dalla pianta che ho l'onore di presentare».
Nemmeno questi nuovi terreni presi dal Frichs arrivarono alla vastità dei suoi progetti; onde credè inoltre «opportuno di variare la strada che conduceva agli antichi parchi, e mediante tal variazione tagliò altri terreni coltivati attenenti alla medesima fattoria, non meno che dei boschi onde ottenere questa nuova strada dal medesimo immaginata, e giunge al nuovo parco».
Via via di questo passo, prosegue il senatore Sergardi a dimostrare, siccome dimostra pienamente, a S. A. R. e I. quali e quanti danni arrecò il boemo ingegnere Frichs al parco ed alla fattoria di Pratolino, ridotta quest'ultima ad essere d'aggravio al R. Erario.
In compenso ai danni emergenti, l'ingegnere Frichs promesse al buon Granduca di fabbricargli un palazzo molto più bello di quello che aveva fabbricato il Buontalenti al Medici, e per tanta promessa il buon Granduca gli raddoppiò le facoltà che già gli aveva concesse, anzi, gliele dette senza nessun limite. L'ingegnere Frichs non intendeva a sordo; e tanto sul serio tirava innanzi col suo vastissimo progetto, che in una lettera del 3 ottbre 1822 (non si dimentichi che l'ingegnere Frichs fu chiamato a Firenze nel 1819)
vien domandato dal Sopraintendente Sergardi all'Agente Bertini «se la direzione dei lavori (nel​ parco di Pratolino) ha preso una determinazione circa lo scarico dell'antico palazzo che si demolisce» al che il Berlini risponde (11 dello stesso mese) che «il luogo dello scarico non è stato ancora determinato, ma che certamente i vecchi materiali non si scaricheranno mai nel parco.»
Dunque il famoso palazzo di Pratolino, su cui gli antichi maestri dell'ottima architettura non avrebbero trovato nulla da ridire, come asseriva l'abate Fontani, fu demolito nel 1822, regnando in Toscana Ferdinando terzo di Lorena, che morì nel 1824, senza vedere il nuovo palazzo promessogli dall'ingegnere Frichs venuto a bella posta di Boemia.... e che Dio lo faccia riposare eternamente in pace (21).
I ruderi del palazzo antico furono propri o deposti, come per maggior dispregio, sul magnificoprato dinanzi alla facciata di mezzogiorno, chiamato il prato delle grotte (22), dove dipoi rimasero alla contemplazione dei visitatori del celebre parco, che, malgrado la demolizione del palazzo, il parco prosegui ad attirar visitatori per più anni ancora (23). Gli uomini più vecchi ancor viventi a Pratolino non si rammentano d'aver mai visto il palazzo, mentre qualcuno invecchiato nel mestiere del muratore, o del manuale, rammentasi d'aver lavorato ragazzetto al trasporto dello scarico che levavasi dal detto prato e si poneva nelle grotte sottostanti; si rammentano ancora, come per buttare all'aria le fondamenta intervenissero i granatieri del Granduca Leopoldo secondo, che si serviron delle mine.
Quale titolo, o qual diritto avesse il boemo Frichs verso i Granduchi di Lorena, non possiamo saperlo, ma doveva essere certamente un titolo ben considerevole per giungere a padroneggiare in simil guisa, fino al punto di distruggere quel Toscano Museo di meravigliose opere per mezzo delle quali si palesò sublime tanto l'artistico genio di Toscana. Per voglia malvagia di questo vandalo boemo, la sorte lacrimevole del palazzo toccò pure a quasi tutti gli altri edifizi del R. Parco, ed indistintamente a tutti gli ornamenti non appena Pratolino, con tutti i suoi poderi, ed insieme ad altri beni, dell'Erario, fu donato a Leopoldo II per ricompensarlo di certe ragguardevoli bonifiche da lui pagate del proprio patrimonio nelle Maremme di Massa e di Grosseto (24).
Sciupate, sparite tante pitture preziose, come tante decorazioni splendide di stucchi e d'oro; i prodigiosi apparecchi che all'acqua facevano operare le rappresentazioni sorprendenti, più non furono che inservibili pezzi di metallo; ridotte in frantumi tante superbe statue, fatte per lo più dai nostri celebri maestri, e gettate a riempire le stesse vasche che avevano servito di ricetto all'acque da loro cadenti; capi d'opera sottratti, di cui si chiederebbe inutilmente l'attuale domicilio: tanti tesori d'arte, erano diventati proprietà privata del Granduca!...
A Pratolino si parla tuttora d'una statua in bronzo di grandezza maggior del naturale, raffigurante un suonatore di violino, che il vandalo boemo trafugava, in un barroccio di paglia, fino alla terra casentinese, quando nel Casentino lui s'era rifugiato, perchè dalla regina dell'Arno il vento soffiava impetuoso contro ai tedeschi; quel colpo però gli andette in fallo, che la statua gli fu fatta riportare a Pratolino, e senza tante osservazioni 25). D'un altro furto si parla in Pratolino, di consistenza assai più grande, il furto cioè di cinque statue commesso nel 1843, o press'apoco, da ladri locali, che dopo averle rubate le portarono a vendere a Firenze, dove con loro buona pace vennero arrestati e messi nel Bargello.
Del caporione essendosene a noi fatto palese il nome, credemmo d'essere a buon porto per ritrovarne il processo agli Atti Criminali nel R. Archivio di Stato, per mezzo del quale processo avremmo potuto naturalmente sapere in che consistesser ole statue rubate, e chissà forse che non ci fosse stato possibile additarle in qualche luogo.
Un ostacolo in aspettalo s'oppose però al nostro disegno: trovato che s'ebbe nell'Indice della soppressa R. Ruota quel nome da noi riguardato come il bandolo della matassa, colla relaliva sentenza in data dei tanti di maggio dell'anno 1844, chiedemmo la filza contenente il processo; ma qui appunto si è l'ostacolo, poiché a sensi dell'articolo 12 del Regolamento d'Archivio, 27 maggio 1875, i processi sono pubblici soltanto settant'anni dopo la loro conclusione; e l'articolo 14 dice che «degli atti che non sono pubblici si dà notizia con licenza dei ministri di Giustizia, Interno, od affari esteri, secondo ch'essi atti siano giudiziari, amministrativi, o di politica esterna.» Questa disposizione mena certamente dietro le sue buone condizioni cui dobbiamo far tanto di riverenza, e ripetiamo che del furto di cinque statue se ne parla tuttora in Pratolino, ma non si sa che statue fossero, né quale destinazione s'ebbero a Firenze.
Ecco per quali vicende passò Pratolino, eccoa qual saccheggio fu soggetto quel R. Parco che per più di dugento cinquant'anni rappresentò la fecondità tra noi dei genio umano, rappresentò la potenza di esso genio nel mettere i prodigi da lui operati a confronto dei prodigi che opera la natura, e nel trionfar sur essa; quel R. Parco sì pieno di memorie belle, non solo pei fasti dell'arte di cui fu teatro, ma sibbene ancora perchè al fascino suo convennero e s'abbandonarono in lietissime brigate sovrani e ministri d'ogni nazione, pontefici e prelati, e la miriade degl'illustri personaggi dei quali tiene particolarmente conto il Settimanni nelle sue inedite Memorie Fiorentine.
Un magnifico Mecenate straniero s'era testé proposto di rendere Pratolino al suo splendore antico: a questo Mecenate, il principe Paolo Demidoff di S. Donato, la morte vietò di compiere il progetto sì grande, e si generoso.
Cenni storici
Gigante dell'Appennino
Grotta di Cupido
Tratto da Cesare Da Prato, Firenze ai Demidoff, Pratolino e S. Donato, relazione storica e descrittiva, Firenze, Pia Casa del patronato, 1886
(1) Ricevè da suo padre, Cosimo I, il potere nel 1565, e fu riconosciuto assoluto Granduca nel 1574; regnò sino al 1587, anno nel quale avvenne la sua morte.
(2) Francesco I, chiamò nel 1580 i primi lavoranti di Milano, dai quali gli artisti fiorentini appresero l'arte del commesso, arte clie sotto il regno di Ferdinando I, fratello e successore di Francesco, ebbe sviluppo grande e divenne floridissima. Fu questo terzo Granduca che fondò l'Opificio di via degli Alfani, i cui superbi lavori or più che mai gli danno bella fama.
(3) Emanuele Repetti dà molto late informazioni su questo proposito nel suo Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana, voi. II e IV, 1835-1841
(4) R. Archivio di Stato : Decimale delle RE. Possessioni, Drao II, pag. 855.
(5) Raffaello Gualterotti, poeta fiorentino, pubblicò un poemetto intitolato Vaghezze di Pratolino. Firenze. Giunti, 1569. Questo poemetto viene indicato per raro dal Canonico Domenico Moreni, pure di Firenze, nella sua Bibliografia della Toscana; e difatti, fra tutte le nostre pubbliche Biblioteche, un unico esemplare se ne trova nella Biblioteca del R. Istituto di Belle Arti, Lo stesso Moreni,
lodando l'idea della magnitìca villa di Pratolino, dice che il Principe Francesco la cominciò nel 1569. E Francesco Settimanni, nelle sue Memorie Fiorentine (17 tomi) che si trovano nel Regio Archivio di Stato, dice che «nel mese di settembre 1570 cominciò a fabbricarsi il palazzo e giardino della villa di Pratolino dal Principe Francesco» (tomo I, carte 513); ed a carte 617 dello stesso tomo, fa sapere che «nel 10 marzo 1573 fa dato principio dal Principe Francesco alla fabbrica della villa di Pratolino colla sopraintendenza
di Benedetto Buoaaccorso Uguccioni.» Ora, siccome delle fabbriche, oltre al palazzo, se ne fecero molte a Pratolino, e si durò a far cose nuove finché i Medici durarono, poco monta il discutere su tutti questi cominciamenti. Fatto sta, e certissimo, che il citato documento riguardante la compra di Pratolino fatta dal Principe Francesco, è attendibile più d'ogni altra cosa, e la data del componimento del Gualterotti non può essere punto dubbia.
(6) D'alcuni artefici illustri che colle opere loro dettero a Pratolino si gran fama, vedasi Capitolo V di questa seconda parte.
(7) Filippo Baldinucci: Notìzie sui Professori del Disegno, Vita di Bernardo Buontalenti.
(8) Come i romani si lagnassero delle continue spedizioni d'oggetti d'arte che faceva il cardinale Montepulciano ai granduchi di Toscana, vedi ciò clie in proposito ne scrive il medesimo cardinale nei Codici Cartacei dalla R. Galleria passati nel R. Archivio di Stato, Cod. I, ins. 18, lett. 14.
(9) Non istaremo a citare, oltre l'Archivio di Stato, il Palazzo Pitti dove ci siamo rivolti con minore fortuna. E in troppe parti è poi diviso l'Archivio Mediceo, da potersi chiamar beato colui che le sa tutte, e le rovista.
(10) Il Baccini dedicò l'opuscoletto alla venerata memoria del Principe Paolo Demidoff di S, Donato.
(11) Il Moreni, opera citata, dice inedito questo lavoro. Si tratta di 363 stanze divise in tre canti, o libri, d'assai mediocre poesia. Il manoscritto si trova nella Libreria Magliabechiana, Classe VII, cod. 8.
(12) Anche questo manoscritto trovasi nella medesima Libreria, Classe XXVII, cod. 32. — Le nozze del Granprincipe Ferdinando ebbero luogo nel 1687.
(13) Monsignor Gio. Bottari: Lettere Pittoriche.​
(14) Bernardo Sansone Sgrilli: Descrizione della R. Villa, Fontane e Fabbriche di Pratolino, con tavole. (Vedasi per le tavole al Capitolo seguente.)
(15) Furono gli Scrilli, o Sgrilli, addetti alle regie possessioni nella qualità di guardarobieri, e lui l'architetto, fu stipendiato nella sua professione, da Gian Gastone ultimo Granduca Mediceo.
(16) Michele De Montaigne: Voyage en Italie.
(17) Nei primi tre anni del secolo fu fatta dal tipografo Tofani di Firenze un'edizione Principe dell'opera del Fontani, ed un'altra edizione economica fatta da Batelli nel 1827.
(18) L'editore della Signora di Monza dice in apposita nota, messa alla descrizione delle sei grotte principali, che nelle antiche descrizioni di Pratolino è tanta ambiguità da non parer credibile, e che «l'autore non ha potuto darne questa si esatta che per averne prese le memorie sul luogo nella sua prima gioventù. » — E sta benissimo che nelle descrizioni antiche vi sia l'ambiguità: ma se non vi fossero state delle descrizioni antiche, per la descrizione del Rosini non si verrebbe a conoscere, fra tante cose celebri ora sparite, che il colosso raffigurante l'Appennino (la sola statua che anche oggi rimane), le seigrotte principali, e il viale delle fontane. — Nelle considerazioni storiche poi, che lo stesso editore pone alla fine del libro, dichiara «che la descrizione di Pratolino. tal quale era innanzi la demolizione, è precisa ed esatta.» — Colla quale dichiarazione, fatta un poco alla leggera, ci mette nel caso di ripetere che la descrizione del Verino, esatta e completa, è stata indicata per attendibile dal Baldinucci e dal Moreni, a tempo dei quali non c'era paranco la descrizione dello Sgrilli; ed oggi mettendo a confronto il Verino collo Sgrilli, e lo Sgrilli col Rosini, possiamo agevolmente vedere che al Verino si deve il vanto d'aver tutto descritto quanto a suo tempo esisteva, di cui molto ha durato sino al Rosini; al Rosini è dovuto il merito d'aver cosi ammirabilmente descritto una parte di ciò che trova, come meglio nessuno ha saputo descriverla, per l'eleganza e il gusto. — Il Rosini non rilasciò alle stampe la Signora di Monza che nel 1829, conforme la data che è appiede della prefazione.​
(19) Fra questi documenti c'è una lacuna dal 1815 al 1828. Con quest'ultima data si trova una filza che contiene il carteggio inerente l'affitto della E,. Fattoria; ed esiste in essa filza qualche documento da cui rileviamo i dati presenti.
(20) Trattasi di un'esposizione fatta nel 1826 al Granduca Leopoldo II dal Senatore Claudio Sergardi Sopraintendente generale al dipartimento delle RR. Possessioni, sopra il cattivo stato in cui l'ingegnere Frichs aveva ridotta la regia fattoria di Pratolino. In seguito alla medesima esposizione, lo stesso sopraintendente consiglia il Granduca ad un affitto novennale dei beni componenti la reale fattoria, escluso il parco, il quale affitto ebbe luogo nel giugno del 1828, dandosene la preferenza, fra molti attendenti, all'avvocato Vincenzo Tosi di Firenze parii canone annuo di lire 11,350, e contando dal 1° dell'anno medesimo.
(21) Ciò servirà di rettifica a quanto scrisse d'inesatto il Signor Baccini nel suo pregiato opuscolo più volte citato, intorno al motivo percui la R. Villa di Pratolino andò in malora. Sono queste le sue testuali parole: «.... Leopoldo entrato in possesso della Villa s'avvide ben presto clie per abitarla con sicurezza era necessario farvi un restauro generale e spendervi parecchi quattrini, perchè il Buontalenti avendo voluto terminare in breve tempo il lavoro costruì le muraglie senza la voluta stabilità, com'aveva fatto in altre importanti fabbriche che tuttora s'ammirano in Firenze e altrove.... Leopoldo riflettendo che il giunco avrebbe pesato più della carne, non volle saper di restauri e la villa si ridusse in cattivo arnese, e con pericolo di rovinare da un momento all'altro.» Ammesso che il Buontalenti, avvezzo a fabbricar fortezze, come, per esempio, la nostra fortezza di Belvedere, fosse stato capace di costruir ville con muraglie simili a quelle di Gerico, quando mai poteva temere Leopoldo II che gli rovinasse addosso la villa di Pratolino demolita prima due anni ch'ei la possedesse come cosa dello Stato (successe a suo padre nel Granducato l'anno 1824). quindici anni prima ch'ei la possedesse come cosa sua particolare, il che si vedrà ora col seguito dello storico ragguaglio?
(22) Vedi Descrizione di queste grotte nel Capitolo seguente.
(23) Nel giorno 20 maggio 1826, trovandosi a Firenze il Cardinale Falconieri di Roma, espresse al sopraintendente Sergardi il desiderio di visitare "quanto di buono e di bello si trovava nel magnifico parco," ed il Sergardi lo munì d'una lettera da presentarsi all'agente Bertini perchè questi servisse a lui da Cicerone.
(24) Tal donazione dev'essere avvenuta nel 1837, cioè terminato il novennale affitto della regia fattoria, che s'era fatto decorrere dal 1 gennaio del 1828.
(25) Cosi vanno parlando a Pratolino. Noi però prima di menar buona tale diceria, abbiamo voluto di più indagare nei fatti e nelle circostanze; e dalle nostre indagini viene a risultare che negli ultimi anni del granducato mandò Leopoldo II a prendere in Pratolino degli oggetti d'arte, parecchie piccole cose che avevano servito anche alle rappresentazioni d'acqua; era insieme una statua di marmo metà del naturale, raffigurante un suonatore, forse di violino, di chitarra o mandolino, che condotto a Firenze andò allo Stabilimento di C. Papi per essere fuso in bronzo, ma non ebbe dipoi più luogo la fusione. Si pose quindi nell'Uffizio Tecnico dei Pitti, da dove l'anno passato fu levato per essere spedito a Roma, e messo nel giardino del Quirinale. Il lettore potrà ora congetturare facilmeate il resto, e stabilire, se crede, che il suonatore trafugato dal Frichs fosse non maggiore al naturale, ma minore, e che invece d'essere di bronzo non fosse che di marmo: e trattasi d'opera antica di scalpello assai famoso.
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