La Compagnia della Misericordia
Cenni storici
Chiunque, straniero o nuovo a Firenze, s’incontri per le vie in una lunga tratta di uomini avvolti in nere cappe, col volto celato in una nera buffa, che si affrettano a qualche rimota ed angusta viuzza della città, se lo prende vaghezza di seguitarli, li vedrà salire le sconnesse buie scale di qualche miserabile casupola, e quindi tolto con ogni riguardo e con ogni delicatezza dal suo affannoso giaciglio il povero infermo che vi langue, riporlo nel cataletto che seco recano, e alzatolo sulle spalle, portarlo con passo lento e misurato agli Spedali, ove il misero languente abbia l’assistenza e i soccorsi che la sua povertà gli negava. Né la famiglia tapina che vede troppo spesso partire pel lacrimato viaggio il caro capo che le guadagnava il pane, resta, per quel giorno almeno derelitta. Sempre le lasciano quei pietosi un qualche sussidio. (1)
E allorché la miseria estrema il richiede, a quello che le loro leggi impongono e la volontà di caritatevoli testatori, si aggiunge l’offerta spontanea da ciascuno segretamente deposta nel cappello chiuso del loro capo, e a lui segretamente versata nelle mani della famiglia. E talvolta se nelle ore più affaccendate del giorno, fra le tenebre della notte, nelle ore che si concedono alle veglie piacevoli o al sonno, si diffonde per l’aure quiete uno squillo di campana lento, malinconico, vedresti in cento luoghi gente porgere l’orecchio, levarsi in piè, uscir frettolosamente abbandonando i geniali ritrovi, le usate occupazioni, il lavoro, i dolci riposi; correre alla storica piazzetta che sta fra il canto degli Adimari, Santa Maria del Fiore e San Giovanni, rimpetto alle tombe d’onde uscì rediviva a premiare un lungo e fedele amore Ginevra degli Adimari; di fianco alla torre del Guardamorto, che le ire cittadine atterrarono, che la Provvidenza fece cadere senza danno né d’uomini né di monumenti, e ove la carità cittadina stabilì poi con miglior consiglio l’Ospizio degli Orfani. Dalle case che quivi sorgono vedresti uscire in breve la stessa negra comitiva, e sia pure cocente il sole, si rovesci a torrenti la pioggia, strida il tramontano, recarsi a raccogliere chi è preso da improvviso malore, o chi di morte repentina o violenta rimase cadavere per le vie.
Anche ti sarebbe dato veder e questi pietosi assistere e confortare nell’ora suprema il reo, che la giustizia umana con atroce solennità caccia violentemente dalla vita, se la pena di morte or cancellata, ora restituita nei codici, non ripugnasse ai costumi della mite Toscana.
Confratelli della Misericordia trasportano una barella a Firenze
E se tu, meravigliato di tanta infaticabile carità, meravigliato al vedere che i cittadini si soffermano sul passaggio di questi veri operai dell’Evangelo, e si scoprono reverenti il capo, che i militari corrono alle armi, e rendono loro gli onori come alle podestà dello Stato, dimandi chi sono: il Fiorentino interrogato, riportando attonito sopra di te lo sguardo che li accompagnava amorevole e riconoscente, ti risponde col tuono di chi crede appena possibile tanta ignoranza: E’ la Misericordia!
La Misericordia! Sono cinque secoli che i Fiorentini guardando collo stesso rispetto e pronunziano colla stessa riconoscenza questo dolce nome: cinque secoli nei quali la meravigliosa istituzione nella città rimproverata fino da Dante per la perpetua mutabilità delle sue leggi, si mantenne immutabile ed egualmente reverenda. Quante istituzioni, che il credito scaduto e il disprezzo in che vennero presso l’universale riferiscono alla tristizia de’ tempi per non cercarne in se stesse le ragioni vere, se dimandassero alla Compagnia della Misericordia il segreto della sua sempre vivace ed eguale esistenza, troverebbero le cause del fiorire perenne di lei e del loro scadimento nell’avere essa mantenuto inalterabile lo spirito che la informò primamente, e nell’averne esse, e di quanto! degenerato.
Se tu volessi poi conoscere i fasti e i titoli della Compagnia, e ne visitassi gli archivii, vi troveresti immensi fasci delle polizze certificanti il trasporto degli ammorbati nelle venticinque pestilenze, che in cinque secoli, dacché la Compagnia della Misericordia esiste, hanno flagellato Firenze (2); inventari delle ​robe rinvenute e raccolte nelle case rimaste deserte per contagio; memorie di legati di persone, che morendo, sé e le sostanze loro raccomandarono alla santa Istituzione in sollievo dei poveri; la lista dei Capi Guardia che per cinquecento anni presiederono all’opera caritatevole dei Fratelli. E una volta l’anno, nell’ottava del Corpus Domini, potresti vedere appeso alle pareti esterne della piazzetta il quadro, che si crede dei Cigoli, rappresentante la Misericordia nell’esercizio de’ suoi ufficii in un momento terribile, che la rende sublime, durante l’infierire del morbo; e questo quadro è tutt’insieme una gloriosa memoria di una gloriosa tradizione, un ammonimento a non mancar mai a quella; una testimonianza che la Fraternità non via ha mancato mai.
Tratto da La Compagnia della Misericordia di Firenze, cenni storici, Celestino Bianchi, Firenze, Tipografia Barbera Bianchi & C, 1855
(1) Antonio Coppetti e Giovambattista Landi, altri aggiungono Barbera Cellai, istituirono questo sussidio, e ne assegnarono nelle loro ultime volontà i fondi nel 1751)
(2) Le polizze dei morti fatte dai parrochi delle chiese e dagli ufficiali di sanità, parte dei quali si veggono ancora affumicate e zolfate, principiano dall’anno 1499 e vanno sino al 1599, e sono 10.521. Poi segue un’altra serie, e queste vanno dal 1600 al 1699, e sono 9.831: finalmente dal 1700 al 1788 sono 6.928. Molte di queste polizze però andarono disperse e perdute. Vedi l’Istoria dell’Oratorio della Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria della Misericordia, scritta da Placido Landini, accresciuta, corretta e illustrata dall’abate Pietro Pillori – Firenze, Peratoner, 1843)
Stampa del 1841